Memorie Autore: Lucio de Salvatore |
di Antonio Ciniero
Abstract
Nel Salento presenze rom sono attestate almeno dal XVI secolo e ancora
oggi nel territorio della provincia di Lecce vive un cospicuo numero di
famiglie di origine rom. La storia dei gruppi rom residenti nel Salento è
profondamente intrecciata con quella del territorio. Questo saggio, attraverso
l’analisi di fonti storico-antropologiche e interviste etnografiche, descrive i
processi di scambio e interazione tra una famiglia rom e il più ampio contesto
socio-economico in cui è inserita, con una particolare attenzione al ruolo
svolto dai processi di scolarizzazione.
Parole chiave:
Rom, Salento, scolarizzazione, identità, appartenenza culturale
In Salento, presences
of the Roma people has bee formally recorded since the 16th century, and still
today a large number of Roma origins families is living there. Their history is
deeply intertwined with the local one. Through the analysis of historical and
antropological sources and ethnographic interviews, this paper describes the
processes of exchange and interaction between a Roma family and the broader
socio-economic context, with a particular attention to the role of schooling processes.
Keywords:
Roma, Salento, schooling processes, identity, cultural affiliation
Introduzione
La storia dei diversi gruppi rom è profondamente connessa con quella
dei luoghi in cui hanno vissuto. Le relazioni storicamente sviluppatesi tra rom
e non rom hanno nel tempo assunto forme differenti (persecuzione, esclusione,
assimilazione, scambio), secondo i contesti geografici e delle politiche
pubbliche vigenti in quei luoghi (Piasere 2004).
In questo scritto si analizza uno degli aspetti che più ha contribuito
a creare forme di connessione e interazione tra rom e non rom su uno specifico
territorio, quello della provincia di Lecce[1]
(che registra presenze rom almeno dal XVI secolo): il rapporto con la scuola, a
partire dagli anni in cui la scolarizzazione diviene un fenomeno di massa. È
negli anni Sessanta, con la riforma che istituisce la scuola media a ciclo
unico, che i diversi
strati sociali popolari del meridione vengono coinvolti, in modo crescente, nel
processo di scolarizzazione (Bevilacqua 1993). Sono anni che coincidono con la
progressiva dissoluzione dell’universo contadino, che rivoluzionano assetti
sociali, ruoli e orizzonti culturali (Crainz 1996). Ed
è proprio con il superamento di un’economia prevalentemente agricola che si
intensifica anche quel lungo processo di inclusione, già avviato nei secoli
precedenti e che dura ancora oggi, che ha portato alcuni rom residenti nel
Salento a costruire con le popolazioni del posto rapporti di scambio e
commistioni tali da far risultare oggi i rom quasi del tutto invisibili agli
occhi esterni (Pontrandolfo 2013). In
questo contesto, riflettere sul ruolo della scuola rispetto alle diverse forme di adattamento e di
rielaborazione delle identità dei soggetti di origine rom per rispondere alle
trasformazioni socio-economiche in atto può risultare particolarmente
significativo.
Il superamento dell’assetto
societario che ruotava attorno all’economia agricolo-artigianale ha spinto
infatti molti rom a reiventare i vecchi mestieri, un tempo di centrale importanza,
ma resi desueti dai processi di meccanizzazione; sul piano dei rapporti
inter-individuali, ha condotto i singoli a un maggiore confronto con i non rom
e a reinterpretare il patrimonio culturale e l’identità romanì (è il caso di molti operatori culturali, musicisti,
cantanti, pittori) oppure a perseguire una strategia di invisibilità tendente a
nascondere le proprie origini per sfuggire i pregiudizi.
Sul piano
dell’azione politica, i processi di inclusione delle famiglie di origine rom
nel Salento sono stati favoriti dall’assenza sul territorio – così come per
altri gruppi rom dell’Italia meridionale – di dispositivi politici che
tendevano a separarli giuridicamente dal resto della popolazione. L’obbligo
scolastico, la scolarizzazione di massa e l’assoluta assenza di classi latcho drom[2]
hanno facilitato processi di confronto e scambio tra rom e non rom,
travalicando il tradizionale ambito lavorativo al quale, maggiormente, erano
relegati. È tra i banchi di scuola che i giovani e le giovani rom si confrontano
e si scontrano con i non rom, negoziano, costruiscono e rielaborano le loro
forme identitarie e di appartenenza culturale.
[1] Nel testo l’uso dei termini
“rom”, “famiglie rom”, “rom salentini”, “soggetti di origine rom”, “discendenti
da famiglie rom” non vuole alludere in alcun modo all’esistenza sul territorio
oggetto di studio di un gruppo dalle caratteristiche socio-culturali definite e
differenti da quelle del resto della popolazione locale, né ad un gruppo
accomunato da una presunta identità collettiva più o meno omogenea. La scelta
di utilizzare questa terminologia si basa esclusivamente sull’autodefinizione
che i soggetti incontrati nel corso dell’indagine hanno dato di sé stessi.
L’espressione “rom salentini” non è utilizzata come categoria definitoria;
laddove è presente è da intendersi solo nel senso di “soggetti che si
autodefiniscono rom e che risiedono nei comuni del territorio salentino”. La
questione della definizione categoriale di chi possa essere o meno considerato rom non ha una soluzione condivisa, né
sul piano degli studi scientifici, né su quello della definizione
politico-legislativa.
Non sono identificabili criteri oggettivi per determinare chi sia rom e chi non
lo sia: esistono paesi in cui i rom sono riconosciuti come minoranza e altri in
cui non lo sono; non tutti coloro che si autodefiniscono o sono definiti rom
parlano la stessa lingua, o condividono una religione comune; inoltre i gruppi
rom hanno provenienze geografiche diverse, così come molto diverse sono le
condizioni socio-economiche o i livelli di scolarizzazione. La definizione di
chi possa essere considerato rom, come tutte le definizioni etniche, è, dunque,
un problema destinato a non avere soluzione se non di tipo puramente
convenzionale. Su questo aspetto si veda Ciniero (2017, in stampa).
[2] Istituite nel 1965 attraverso un
protocollo di intesa tra il Ministero dell’Istruzione e l’Opera Nomadi, queste
classi speciali, destinate esclusivamente a bambini rom e sinti, furono
soppresse definitivamente solo nel 1982.
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