di Antonio
Ciniero
Recensione al libro curato da Gennaro Avallone Il sistema di accoglienza in Italia. Esperienze,
resistenze, segregazione (Orthotes Editrice, pp. 218, euro 17) già pubblicata ne Il Manifesto
È almeno dal 2011, a seguito della guerra in Libia,
che in Italia, e più in generale in Europa, è diventato quasi impossibile per i
cittadini stranieri entrare in condizione di regolarità, se non in pochi casi.
DA QUELL’ANNO,
l’Ue nel suo complesso e i singoli stati membri, più o meno esplicitamente,
hanno cercato in ogni modo di bloccare gli ingressi sul proprio territorio
attivando a tal scopo una serie di dispositivi che vanno dagli accordi
sottoscritti con il governo di Erdogan in Turchia e di al-Sarraj in Libia
all’istituzione degli hotspot, dai muri con il filo spinato alla proliferazione
di campi profughi che sono nati nel cuore dell’Europa, come Idomeni fino a
qualche tempo fa, o più recentemente Salonicco o Calais, passando per le
periferie e le campagne delle città europee. Si tratta di dispositivi che
minano il diritto alla mobilità, soprattutto di chi non ha in tasca il
passaporto di un paese che conta o soldi «per comprare» un visto.
L’ATTUALE SISTEMA di
accoglienza italiano, così pieno di contraddizioni e oggi così criticato da più
parti, si è consolidato durante la cosiddetta «emergenza nord Africa», quando
era ministro dell’Interno Roberto Maroni della Lega Nord, e ha ricevuto
conferme dai successivi governi di centro-sinistra. Si tratta di contraddizioni
strutturali, che non riguardano solo i casi eclatanti di mala accoglienza più
volte denunciati negli ultimi anni, ma più che altro il sottile, ambiguo, filo
di separazione fra dimensione formale e informale, legalità e illegalità,
inclusione ed esclusione, che caratterizza i luoghi e i modi di questa
accoglienza.
LUOGHI DI ACCOGLIENZA istituzionali come i Cara che, per esempio, in
tutte le regioni meridionali sono quasi sempre contigui ai ghetti e campi nei
quali sono costretti a vivere i braccianti sfruttati in agricoltura e la gran
parte di chi risiede nei Cara lavora in condizioni di grave sfruttamento
proprio in agricoltura. Così come pure sono tanti i casi in cui lo sfruttamento
della prostituzione ha luogo all’interno dei luoghi istituzionali di prima e
seconda accoglienza. Una situazione contradditoria che inevitabilmente produce
esclusione a causa di una governance ambivalente e di seri limiti normativi.
Sono queste e altre le contraddizioni che il recente
lavoro curato da Gennaro Avallone Il sistema di accoglienza in Italia.
Esperienze, resistenze, segregazione (Orthotes Editrice, pp. 218, euro
17) indaga con una profondità rara di questi tempi per l’inchiesta sociale e un
approccio basato su un grande rigore metodologico, capace di tenere insieme
teoria e prassi, in cui l’impegno militante si coniuga sempre con l’approfondimento
analitico, un approccio del quale avremmo davvero grande bisogno, anche nelle
università, dove i ricercatori sono sempre più schiacciati dalla logica
del publish or perish che, come è noto, non concede il tempo
necessario all’approfondimento che richiede un serio lavoro sul campo.
È UN LIBRO autenticamente
collettivo che riesce a presentare posizioni, a volte anche distanti, di
soggetti che a vario titolo e per motivi diversi vivono o attraversano il
sistema di accoglienza, riuscendo a mantenere uno sguardo eretico, come dicono
gli stessi autori nella presentazione, secondo il solco tracciato da Abdelmalek
Sayad, la cui influenza si percepisce in ogni pagina. Un volume necessario, che
va oltre il fenomeno urgente e complesso dell’accoglienza, perché, come scrive
una delle autrici «il sistema di accoglienza è soltanto una lente di
ingrandimento con cui guardare le dinamiche più complesse che attanagliano il
paese».
È anche ripensando il sistema di accoglienza in
maniera aperta e democratica, capace di garantire empowerment, e
non le forme di impotenza appresa verso cui oggi sono spinti i migranti dalle
diverse forme di controllo e disciplinamento, che è possibile dar vita a spazi
consapevoli e solidali, cantieri in cui poter costruire una società
interculturale, che non si arrenda alle retoriche securitarie e della paura
sdoganate dal precedente governo e cavalcate e amplificate dall’attuale
esecutivo, una società che colga la sfida del presente, garantendo i diritti e
il benessere di tutti i cittadini che la compongono, vecchi e nuovi.
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