sabato 21 settembre 2024

Insicurezza, discriminazione e deprivazione dei diritti. In Italia va in onda sempre lo stesso copione




di Antonio Ciniero

Ritorna, puntuale come sempre, la discussione sull’allarme sicurezza, anche questa volta la fonte di insicurezza per milioni di italiani non è la precarizzazione della condizione lavorativa, la precarizzazione delle vite dei più giovani, costrette ad essere continuamente rimandate, per dirla con le parole di Luciano Gallino, non è la guerra, l’aggressione alla popolazione palestinese, la fonte di insicurezza  per gli italiani sarebbe rappresentata dalle “borseggiatrici” (declinato quasi sempre, guarda caso, al femminile…). 
Tutti nei dibatti pubblici (politici e massmediatici) sono d’accordo sul fatto che un problema sicurezza esiste, ma nessuno utilizza dati o fonti per avvalorare questa affermazione…, il fenomeno viene presentato come autoevidente, lapalissiano…, bisogna crederci sulla fiducia, perché lo sanno tutti che è così… 

Quando il dibattito pubblico viene declinato in questo modo, quando è concentrato su un inesistente problema sicurezza (come quello dei presunti borseggi) solo due cose sono certe che avverano nel giro di poco tempo: 

1) l’emanazione di interventi che in nome della sicurezza restringeranno i diritti e le libertà per tutti, basti vedere il testo del Ddl 1660 in discussione in parlamento sul tema, che arriva a prevedere la possibilità di rinchiudere in carcere anche bambini di un appena un anno e criminalizza ogni forma di conflitto sociale; 

2) la creazione di un capro espiatorio su cui scaricare odio, rabbia e frustrazione, questo in realtà è un processo già in atto, non sono pochi gli atti di discriminazione che nei casi più gravi sono divenuti vere e proprie aggressioni nei confronti di donne additate come “borseggiatrici”. È almeno da ottobre 2022, che trasmissioni di vario genere, che vanno dall’intrattenimento all’approfondimento giornalistico, dedicano ampio spazio a riproporre in modo allarmistico uno dei temi tipici in cui si esprime l’antiziganismo: il binomio “rom/sicurezza”, dedicando ampi spazi al tema delle “borseggiatrici rom”, come si legge nei titoli in sovraimpressione, giovani ragazze e addirittura bambine descritte come ladre seriali pronte a derubare e a tenere in scacco passeggeri e turisti della metro di Roma o Milano. Corollario del racconto mediatico, il fatto che resterebbero impunite proprio perché rom. Immagini televisive e discorsi online, la cui diffusione è amplificata dalle migliaia di condivisioni sui social-network, contribuiscono così a rinsaldare e diffondere, da un lato, un clima di paura, dall’altro discriminazione, in questo caso sottoforma di antiziganismo.  È un clima pericoloso e da non sottovalutare, una situazione simile a quella a cui stiamo assistendo si è già verificata nel 2008 e portò, addirittura, all’emanazione dello stato di emergenza con tutto quello che ne è conseguito sul piano della mortificazione dei diritti. 


Il 21 maggio del 2008 il governo guidato da Silvio Berlusconi dichiarò lo stato di “emergenza nomadi” che coinvolse da prima tre regioni: Lazio, Lombardia e Campania e in seguito (dal maggio del 2009) anche Piemonte e Veneto. Vennero assegnati poteri speciali ai prefetti che furono nominati Commissari Straordinari per l’emergenza. 

Qualche giorno prima che fosse emanato il decreto che dichiarava l’emergenza, il 13 maggio, a Napoli, alcuni abitanti del quartiere Ponticelli, nella periferia est della città, avevano lanciato molotov contro le baracche di due campi rom che sorgevano nel quartiere causandone l’incendio e scatenando un vero e proprio pogrom che costrinse alla fuga, nella notte, circa 400 persone costrette a caricare le poche cose che avevano nelle baracche su carretti, auto e mezzi di fortuna. L’aggressione contro gli abitanti dei due campi di Ponticelli viene scatenata da una falsa accusa – una calunnia secolare mai comprovata dai fatti – quella che una donna rom avesse tentato di rapire un bambino. Si scoprirà poi che dietro quella che i media chiamavano “ribellione popolare contro i rom” c’era la mano della camorra e che l’area su cui sorgevano i campi abusivi dati alle fiamme era interessata da un progetto di risanamento urbanistico del valore di quasi 70 milioni di euro.

L’episodio di Ponticelli e l’emanazione dello stato di emergenza non è che il culmine di un processo che aveva preso avvio quasi un anno prima. Per tutto il 2007 si intensificano infatti gli sgomberi dei campi rom, in particolare nelle città di Milano e Roma (le stesse città che oggi sarebbero maggiormente interessate dal problema delle “borseggiatrici rom”...). 
L’escalation che porterà alla dichiarazione dello stato di emergenza conosce un’accelerazione nell’ottobre del 2007, precisamente il 30 ottobre, quando a Roma, nella stazione di Tor di Quinto, viene brutalmente uccisa la signora Giovanna Reggiani. Questo doloroso avvenimento di cronaca segnò il momento in cui in Italia il tema rom tornò ad essere declinato con grande eco nel discorso pubblico, tanto sul piano della comunicazione mediatica, quanto su quello del dibattito politico nazionale. L’edizione on line del Corriere della Sera del 1 novembre 2007 – solo per citare un esempio tra tanti – per raccontare l’episodio sceglieva il titolo “Giovanna Reggiani è morta”, preceduto dall’occhiello “Orrore a Roma: saranno abbattute le baracche abusive a Tor di Quinto”. Ad accompagnare le foto delle operazioni di polizia, la didascalia “Seviziata da rom, controlli nel campo nomadi”. Il fatto che a commettere l’omicidio fosse stato un ventiquattrenne con cittadinanza romena, residente da qualche mese all’interno di un campo informale che sorgeva nei pressi della stazione di Tor di Quinto, amplificò con forza il clamore suscitato dalla notizia, facendo sì che l’episodio travalicasse rapidamente gli steccati della cronaca nera e assumesse, sin da subito, una forte connotazione politica che animò il dibattito nell’intero paese. 
Il giorno seguente l’omicidio, il sindaco di Roma, Walter Veltroni, da poco divenuto il primo segretario del Partito Democratico, lanciò un allarme sicurezza che avrebbe condizionato non solo l’agenda politica del governo della capitale, ma anche quella del governo nazionale, allora presieduto da Romano Prodi, che, proprio sulla spinta di quel fatto di cronaca, convocò il Consiglio dei Ministri che introdusse limitazioni all’ingresso e al soggiorno in Italia per i cittadini romeni, da pochi mesi divenuti cittadini comunitari. 

Quanto sta avvenendo oggi, quindi, è qualcosa che abbiamo già cosciuto, teniamo alta l’attenzione, perché la strada che vuole seguire l’attuale governo è chiara, è in continuità con il loro passato e perfettamente coerente con la loro idea di democrazia, sta a quanti hanno a cuore la cultura democratica e il rispetto dei diritti umani porre un argine a tutto ciò e,  probabilmente, anche in ragione del tenore dell’opposizione presente in parlamento, l’argine andrà costruito attraverso la mobilitazione dei movimenti e della società civile. 




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