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sabato 23 gennaio 2016

Migranti e lavoro bracciantile tra sfruttamento e disinteresse istituzionale: il caso di Nardò

Antonio Ciniero


Nardò, 2015 (ph. Ilaria Papa)

pubblicato in sbilanciamocinfo

L’agro centro-meridionale della provincia di Lecce, e in particolare la cittadina di Nardò, rappresenta ormai da oltre vent’anni un tassello importante ed emblematico delle dinamiche politiche, sociali ed economiche che attraversano e danno forma al lavoro agricolo stagionale nella gran parte dei paesi dell’aria euro-mediterranea. Le condizioni di vita e di lavoro dei braccianti in questa zona, sebbene da più parti deprecate, sembrano essere immutabili. Pochi sono gli elementi che si sono modificati nel corso degli anni, tra questi, la composizione sociale dei braccianti avvicendatesi sul territorio e che discende, a sua volta, essenzialmente, da tre fattori: quelli produttivi (il cambio della tipologia dei prodotti agricoli coltivati e la modificazione degli ettari coltura destinati alla coltivazione, che ha richiamato un numero maggiore di manodopera); quelli economici più generali (la crisi degli ultimi anni e i licenziamenti a essa connessi, che hanno spinto verso il settore agricolo soggetti prima impiegati nel settore industriale e in quello dei servizi, di sovente nelle città del centro-nord Italia); e, ancora, quelli legati ai cambiamenti intervenuti sul versante delle dinamiche migratorie, soprattutto dal 2011, quando – a seguito delle cosiddette primavere arabe e dell’intervento armato in Libia – è mutato il panorama degli arrivi e delle presenze dei cittadini stranieri sul territorio dove è aumentato il numero dei cittadini richiedenti asilo e/o protezione umanitaria che, anche in conseguenza delle politiche e delle modalità di accoglienza loro riservate, sono divenuti un importante bacino di reclutamento di manodopera per la raccolta stagionale.

martedì 19 gennaio 2016

La gestione economica delle migrazioni. Politiche migratorie, esclusione e funzionalizzazione delle presenze migranti in Europa

Antonio Ciniero


Premessa: la gestione economica delle migrazioni


L’epoca contemporanea conosce una mobilità umana mai sperimentata prima nella storia, sono più di 200 milioni le persone in transito nel pianeta (232 milioni nel 2013 secondo l’Onu), 34 milioni nella sola Unione Europea (Eurostat). Cifre impressionati che danno l’idea della complessità e della porta di un fenomeno che nessun proibizionismo, barriera o politiche repressive potrà fermare. Chi intraprende l’esperienza migratoria lo fa per ricercare migliori condizioni di vita, per avere un’opportunità che gli pare negata nel suo paese ma anche, e questo avviene sempre più spesso negli ultimi anni, perché è costretto alla fuga da guerre e conflitti. Nel 2014, i migranti forzati hanno raggiunto la cifra record di oltre 60 milioni nel mondo (dati UNHCR) e di 620 mila in Europa[1] (Eurostat) quasi un terzo degli ingressi complessivi. Questi spostamenti contribuiscono a mettere a nudo il re, esplicitano l’insostenibilità dell’attale modello di sviluppo, ne mostrano la forte sperequazione e le abissali diseguaglianze e, al contempo, si configurano come una risposta, individuale e sociale, al processo di impoverimento che interessa aree geografiche sempre più estese del pianeta[2]; ne deriva che prospettare soluzioni è cosa ardua; per risposte realistiche alla complessità del problema si avrebbe bisogno di politiche sopranazionali, oggi difficilmente attivabili, fermo restando gli attuali rapporti di forza che dominano il pianeta. Risposte che superino i modi fallimentari con cui fino ad oggi i paesi occidentali, e quelli europei in particolare, si sono approcciati al fenomeno.