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sabato 21 settembre 2024

Insicurezza, discriminazione e deprivazione dei diritti. In Italia va in onda sempre lo stesso copione




di Antonio Ciniero

Ritorna, puntuale come sempre, la discussione sull’allarme sicurezza, anche questa volta la fonte di insicurezza per milioni di italiani non è la precarizzazione della condizione lavorativa, la precarizzazione delle vite dei più giovani, costrette ad essere continuamente rimandate, per dirla con le parole di Luciano Gallino, non è la guerra, l’aggressione alla popolazione palestinese, la fonte di insicurezza  per gli italiani sarebbe rappresentata dalle “borseggiatrici” (declinato quasi sempre, guarda caso, al femminile…). 
Tutti nei dibatti pubblici (politici e massmediatici) sono d’accordo sul fatto che un problema sicurezza esiste, ma nessuno utilizza dati o fonti per avvalorare questa affermazione…, il fenomeno viene presentato come autoevidente, lapalissiano…, bisogna crederci sulla fiducia, perché lo sanno tutti che è così… 

Quando il dibattito pubblico viene declinato in questo modo, quando è concentrato su un inesistente problema sicurezza (come quello dei presunti borseggi) solo due cose sono certe che avverano nel giro di poco tempo: 

1) l’emanazione di interventi che in nome della sicurezza restringeranno i diritti e le libertà per tutti, basti vedere il testo del Ddl 1660 in discussione in parlamento sul tema, che arriva a prevedere la possibilità di rinchiudere in carcere anche bambini di un appena un anno e criminalizza ogni forma di conflitto sociale; 

2) la creazione di un capro espiatorio su cui scaricare odio, rabbia e frustrazione, questo in realtà è un processo già in atto, non sono pochi gli atti di discriminazione che nei casi più gravi sono divenuti vere e proprie aggressioni nei confronti di donne additate come “borseggiatrici”. È almeno da ottobre 2022, che trasmissioni di vario genere, che vanno dall’intrattenimento all’approfondimento giornalistico, dedicano ampio spazio a riproporre in modo allarmistico uno dei temi tipici in cui si esprime l’antiziganismo: il binomio “rom/sicurezza”, dedicando ampi spazi al tema delle “borseggiatrici rom”, come si legge nei titoli in sovraimpressione, giovani ragazze e addirittura bambine descritte come ladre seriali pronte a derubare e a tenere in scacco passeggeri e turisti della metro di Roma o Milano. Corollario del racconto mediatico, il fatto che resterebbero impunite proprio perché rom. Immagini televisive e discorsi online, la cui diffusione è amplificata dalle migliaia di condivisioni sui social-network, contribuiscono così a rinsaldare e diffondere, da un lato, un clima di paura, dall’altro discriminazione, in questo caso sottoforma di antiziganismo.  È un clima pericoloso e da non sottovalutare, una situazione simile a quella a cui stiamo assistendo si è già verificata nel 2008 e portò, addirittura, all’emanazione dello stato di emergenza con tutto quello che ne è conseguito sul piano della mortificazione dei diritti. 

domenica 31 marzo 2024

Le politiche dell’esclusione. Centri di accoglienza, ghetti agricoli e campi rom in Italia

 E' appena uscito per Meltemi il ultimo libro: Le politiche dell’esclusione. Centri di accoglienza, ghetti agricoli e campi rom in Italia. 



Qual è la genesi dei centri di accoglienza per i migranti? Come sono nati i ghetti agricoli in Italia? Cosa hanno in comune con i campi rom? Come si vive in questi luoghi? Che effetti hanno sulle traiettorie di vita delle persone che li abitano e, più in generale, sul resto della società?
Sono le domande a cui provo a rispondere con questo libro, a partire dall’attività di ricerca degli ultimi dieci anni, in cui ho attraversato questi luoghi che sono dei luoghi di vita e di comprensione del reale, di processi concreti e simbolici che non riguardano solo chi ci vive, ma la società contemporanea nel suo complesso. 

L’obiettivo di questo lavoro è analizzare il modo in cui i centri di accoglienza (e, parallelamente, il sistema di accoglienza), i ghetti agricoli e i campi rom abbiano contribuito, nel solco di una legislazione sulle migrazioni profondamente contraddittoria, a determinare forme di esclusione sociale, integrazione subalterna e inclusione differenziale di segmenti di popolazione definita migrante anche dopo decenni di permanenza nel nostro paese, così come accade ai discendenti nati e cresciuti in Italia. Un altro intento è quello di provare a fare luce sulle categorie di pensiero, che, attraverso la riproduzione ininterrotta di stereotipi, pregiudizi, proiezioni, spesso ingabbiano il percorso della democrazia verso i diritti, anche laddove esista una volontà di cambiamento, proprio perché improntati, oggi come ieri, al non ascolto, al non riconoscimento dei soggetti coinvolti e delle loro istanze.


qui il link al sito della casa editrice









giovedì 9 marzo 2023

Consiglio dei Ministri a Cutro. Alcune brevi osservazioni

 

di Antonio Ciniero

Queste pare siano le proposte che oggi il consiglio dei ministri vorrebbe approvare. Alcune brevi osservazioni:

1) stretta sugli scafisti, con l’inasprimento delle pene e l’aggravante in caso di naufragio.
L'inasprimento delle pene non produce effetti sulla diminuzione delle partenze, o sulla diminuzione dei naufragi, al massimo può incidere sulla modificazione dell'organizzazione dell'ultimo tratto di viaggio. Per ridurre naufragi, per fare in modo che ci siano partenze e viaggi sicuri, c'è solo una cosa da fare: cambiare le norme, prevedendo ingressi regolari e sicuri.
2) Semplificazione degli ingressi regolari, con la mobilitazione degli uffici diplomatici per l’esame in loco delle richieste.
Per semplificare gli ingressi va innanzitutto abolita la Bossi Fini. Vanno cambiate le modalità di ingresso per lavoro prevedendo almeno un titolo di soggiorno per ricerca del lavoro, continuare ad avere una normativa che prevede il possesso di un contratto di lavoro prima della partenza è del tutto irrazionale, produce solo esclusione e determina ingressi in condizione di irregolarità e/o costringe i migranti a ricorrere alla richiesta (a volte) impropria di protezione. Per chi è in fuga perché costretto, la proposta semplicemente non ha senso, a meno che non si dia la possibilità di presentare richiesta di asilo nelle ambasciate italiane istituendo in ogni ambasciata una commissione per l'esame della richiesta che preveda anche la presenza dell'UNHCR e garantendo la sicurezza dei richiedenti asilo per tutta la durata del procedimento.
3) L’accelerazione sulle espulsioni: ma chi viene rimpatriato non deve rischiare di tornare in zone di guerra.
Il tema delle espulsioni è pura demagogia, basti vedere quante espulsioni vengono effettuate ogni anno, le espulsioni non si possono effettuare perché mancano accordi di riammissione, parlare di espulsione significa solo fare in modo che le persone restino in condizione di irregolarità, prive di diritti e sfruttabili sul mercato del lavoro. Ps: le espulsioni verso zone di guerra sono semplicemente vietate dalla Convenzione di Ginevra... Non sono una gentile concessione di un governo cinico e (post)fascista!
4) L'allargamento del decreto flussi, che potrebbe avere durata triennale, con quote privilegiate ai paesi che collaborano al contrasto dell’immigrazione clandestina.
Andrebbero previsti almeno 300 mila nuovi ingressi l'anno, ma soprattutto si dovrebbe prevedere, come si diceva sopra, modalità di ingresso per ricerca di lavoro, altrimenti i flussi continueranno ad essere costretti all'irregolarità e i decreti flussi torneranno ad essere quello che erano in passato: mini sanatorie mascherate... Sull'ossessione per le espulsioni mi taccio...
La verità, triste e amara, è che nemmeno questa tragedia basterà a far cambiare rotta a più di trent'anni di politiche di esclusione. Le responsabilità di queste politiche ovviamente non sono imputabili solo a questo esecutivo e a questa maggioranza, le responsabilità sono, sebbene in diversa misura, di tutte le maggioranze, politiche e "tecniche", che si sono alternate al governo del paese in questi trent'anni! Ma se trent'anni fa forse poteva funzionare l'alibi che il paese era impreparato... che il fenomeno si conosceva ancora poco... oggi non esistono più nemmeno queste finte giustificazioni!

domenica 30 settembre 2018

Sguardi eretici contro il muro della paura



di Antonio Ciniero



Recensione al libro curato da Gennaro Avallone Il sistema di accoglienza in Italia. Esperienze, resistenze, segregazione (Orthotes Editrice, pp. 218, euro 17) già pubblicata ne Il Manifesto

È almeno dal 2011, a seguito della guerra in Libia, che in Italia, e più in generale in Europa, è diventato quasi impossibile per i cittadini stranieri entrare in condizione di regolarità, se non in pochi casi.
DA QUELL’ANNO, l’Ue nel suo complesso e i singoli stati membri, più o meno esplicitamente, hanno cercato in ogni modo di bloccare gli ingressi sul proprio territorio attivando a tal scopo una serie di dispositivi che vanno dagli accordi sottoscritti con il governo di Erdogan in Turchia e di al-Sarraj in Libia all’istituzione degli hotspot, dai muri con il filo spinato alla proliferazione di campi profughi che sono nati nel cuore dell’Europa, come Idomeni fino a qualche tempo fa, o più recentemente Salonicco o Calais, passando per le periferie e le campagne delle città europee. Si tratta di dispositivi che minano il diritto alla mobilità, soprattutto di chi non ha in tasca il passaporto di un paese che conta o soldi «per comprare» un visto.
L’ATTUALE SISTEMA di accoglienza italiano, così pieno di contraddizioni e oggi così criticato da più parti, si è consolidato durante la cosiddetta «emergenza nord Africa», quando era ministro dell’Interno Roberto Maroni della Lega Nord, e ha ricevuto conferme dai successivi governi di centro-sinistra. Si tratta di contraddizioni strutturali, che non riguardano solo i casi eclatanti di mala accoglienza più volte denunciati negli ultimi anni, ma più che altro il sottile, ambiguo, filo di separazione fra dimensione formale e informale, legalità e illegalità, inclusione ed esclusione, che caratterizza i luoghi e i modi di questa accoglienza.

venerdì 15 giugno 2018

Nessun cambiamento, come era prevedibile: si peggiora solo il peggiorabile






di Antonio Ciniero


Le iniziative messe in campo dal neo ministro degli Interni, nonostante il tentativo di presentarle come nuove, si pongono in perfetta continuità con gli interventi in materia di politica migratoria e di governance dei flussi attuati dall’Italia e dall’UE da almeno un trentennio. La vicenda della nave Aquarius mostra senza filtri il cinismo e l’aspetto inumano della gestione delle migrazioni anche al grande pubblico, ma non rappresenta un ribaltamento dell’approccio italiano alla gestione dei flussi migratori degli ultimi anni.

Dall’adozione degli accordi di Schengen in poi, la chiusura delle frontiere e la selezione degli ingressi è stata, e continua ad essere, la bussola di tutti gli interventi normativi in materia migratoria del nostro paese, come lo è delle legislazioni nazionali di quasi tutti i paesi europei e dell’Ue nel suo complesso.

Nel nostro paese però, più che altrove, i vari tentativi di ridurre il numero degli ingressi irregolari non solo sono sistematicamente falliti, ma hanno generato un paradosso (solo apparente): quanto più le leggi diventavano repressive e restrittive, quanto più erano orientate a ridurre la clandestinità, tanto più l’irregolarità di soggiorno cresceva (sia l’irregolarità di ingresso, che la cosiddetta irregolarità sopraggiunta).[1] I sedici anni di applicazione della cosiddetta legge Bossi-Fini lo hanno mostrato chiaramente. Ovviamente non è casuale, e l’irregolarità in Italia è aumentata più che altrove perché il nostro paese non ha, a differenza di altri paesi europei, dei meccanismi di regolarizzazione permanenti, ma ha avuto solo sporadiche sanatorie una tantum.
Le politiche di chiusura delle frontiere, la restrizione dei canali d’ingresso regolare, la precarizzazione della condizione giuridica degli stranieri e il mancato riconoscimento dei diritti di cittadinanza hanno fatto sì che si instaurasse una dialettica tra stato e mercato, in cui i processi che costringono i migranti all’irregolarità e all’esclusione consegnano agli agenti economici un utile strumento di svalorizzazione della forza lavoro: una situazione utilissima a chi domanda lavoro, perché mette a disposizione una manodopera priva di diritti da sottoremunerare ed utilizzare per incrementare i profitti.


sabato 19 maggio 2018

A proposito del contratto Movimento 5 Stelle - Lega

di Antonio Ciniero


Lo so, è un po’ come sparare sulla croce rossa, ma qualcosa, forse, può essere utile dirla a proposito del “contratto” Lega – Movimento 5 Stelle. Provo a farlo prendendo in considerazione solo uno dei temi del “contratto”, quello trattato al punto 13 “IMMIGRAZIONE: RIMPATRI E STOP AL BUSINESS”.

Evidentemente un tema centrate per i due movimenti populisti e xenofobi, tanto per quello che ha significato in termini di raccolta voti e consenso popolare, quanto per lo spazio che al tema è dedicato nel contratto. All’immigrazione sono dedicate tre pagine, per capirci, i due movimenti hanno voluto dare più spazio all’immigrazione che al tema del reddito di cittadinanza o del lavoro o, ancora, del fisco… temi che pure avevano avuto una loro centralità durante la campagna elettorale.

Veniamo al dunque. In generale, il punto dedicato all’immigrazione, esplicita, qualora ce ne fosse ancora bisogno, la natura razzista e populista dei due movimenti e ne rende ufficialmente palese la collocazione nella destra estrema del panorama politico.

L’analisi che traspare dal punto in questione è perentoria, il sistema di accoglienza italiano è fallimentare! E su questo difficilmente si può dissentire, peccato però, che questo sistema di accoglienza non sia frutto del caso, non è nato da una strana alchimia naturale, ma è stato pensato e implementato proprio quando a guidare il dicastero del Viminale c’era il “papà” politico di uno dei due contraenti, Roberto Maroni. E peccato ancora che la legge che oggi il nostro paese utilizza per normare le l’ingresso e le presenze dei cittadini stranieri porta ancora il nome dal “padre dei padri” di uno dei due contraenti.

mercoledì 14 febbraio 2018

Etnicizzare il sociale. Rischi e contraddizioni di un approccio esclusivo sull’identità e la cultura





Abstract della relazione che sarà presentata in occasione del Convegno Riconoscimento, tutela e promozione sociale delle comunità rom e sinte in Italia. Quali azioni promuovere che si svolgerà il 20 febbraio, presso la Sala degli Atti Parlamentari, Biblioteca del Senato “Giovanni Spadolini”, Piazza della Minerva 38, Roma.


Qui, la registrazione video completa del convegno.


di Antonio Ciniero


La questione di chi possa essere o meno considerato rom non ha una soluzione condivisa, né sul piano degli studi scientifici, né su quello della definizione politico-legislativa. Non esistono criteri oggettivi per determinare chi sia rom e chi non lo sia: esistono paesi in cui i rom sono riconosciuti come minoranza e altri in cui non lo sono; non tutti coloro che si autodefiniscono o sono definiti rom parlano la stessa lingua, o condividono una religione comune; inoltre i gruppi rom hanno provenienze geografiche diverse, così come molto diverse sono le condizioni socio-economiche o i livelli di scolarizzazione. Anche i tassi di partecipazione alla vita politica dei paesi nei quali vivono cambiano sensibilmente, sia in termini di partecipazione attiva che passiva (Bačlija, Haček, 2012; McGarry, Timofey, 2014).

Nonostante questa varietà, considerare i rom come appartenenti a gruppi etnici e/o con caratteristiche culturali comuni, più o meno rigidamente definite, è stato e continua ad essere un approccio piuttosto diffuso in parte della letteratura sul tema e, soprattutto, nell’azione politica che le istituzioni pubbliche mettono in campo. Sul piano sociale e culturale, il processo di costruzione di un’immagine più o meno omogenea - in alcuni casi essenzialista - con cui viene identificata la cultura rom, iniziato nel Settecento con la diffusione delle teorie sull’origine indoariana del romanes,  continua ancora oggi a condizionare, in particolare, il discorso pubblico sui rom (Sigona, 2006). È un discorso alla cui formazione partecipano, a diversi livelli, molti attori: politici, rappresentanti istituzionali, attivisti, associazioni, media, artisti e rappresentanti delle élites romanì (McGarry, 2014), che veicolano, a seconda dei casi, immagini con cui identificare la cultura rom: devianza, precarietà economica, disagio abitativo, ma anche rivendicazione in positivo di aspetti legati dell’uso del romanes, al mito fondativo della comune discendenza indoariana di tutti i rom o alle rappresentazioni artistiche, elementi parziali sui quali si basa, di volta in volta, la rappresentazione complessiva della storia, dell’identità e della cultura romanì (Daniele, 2010), lasciando da parte, tra l’altro, tutti gli aspetti di negoziazione dinamica dei singoli nella sfera pubblica e anche in quella privata (Benhabib, 2002).

domenica 4 febbraio 2018

L’Italia è attraversata dalla violenza razzista e sessista: è tempo di reagire

Photo credit: Ilaria Papa

di Antonio Ciniero e Ilaria Papa

  
L’Italia è attraversata dalla violenza razzista e sessista. Ciò che è successo a Macerata non è, purtroppo soltanto un caso isolato, il gesto estremo di una personalità definita borderline, esasperata magari da altri problemi e fatti, come velocemente è stato dichiarato su diversi media, anche stranieri, e da alcuni esponenti politici. C’è una vasta, complessa trama, in alcuni punti più lenta e sottile, quasi invisibile, impalpabile, in altri più immediatamente percepibile, che attraversa l’Europa e, in particolare, l’Italia. Episodi come quello di Macerata, che evocano con forza fantasmi ed incubi da un passato che pensavamo non sarebbe potuto tornare, rappresentano solo alcuni nodi più evidenti di questa rete di fatti e idee. Era un simpatizzante di Forza Nuova anche l’uomo che a gennaio ha ucciso la moglie e sparato sulla folla dal balcone di casa nel Casertano.
Sia chiaro, la violenza sessista è un fatto trasversale a status, classi, definizioni politiche e nazionalità. Tuttavia, qualunque cosa ne dicano gli accusatori soltanto per “profilo etnico” (nel caso degli autoctoni, si tratterebbe sempre di cose da poco o sarebbero le donne ad essersela andata a cercare, come qualche politico ha dichiarato dopo i fatti di Firenze che hanno visto due carabinieri indagati per stupro), alcune connessioni, alcuni legami, trasversali a partiti e idee politiche, classi, età, tali da creare influenze, alimentare problematiche e comportamenti, ci sono e sono rintracciabili in alcune condotte, che, a voler guardare, risultano chiare. Queste condotte, se ci sta a cuore il futuro della nostra democrazia, il valore della vita di tante persone, dei nostri figli e di noi stessi, di quello che siamo e abbiamo costruito, dovrebbero essere smascherate, rivelate, portate alla luce e denunciate, combattute, il più possibile.

martedì 16 gennaio 2018

da Radio Onda d'Urto. IMMIGRATI: LA POLITICA ELETTORALE ALLE PRESE CON UN’INVASIONE CHE NON C’E’





Sono 841 i migranti sbarcati in Italia nelle prime due settimane di gennaio, il 64% in meno rispetto allo stesso periodo del 2017, quando gli arrivi via mare furono 2.355. Lo evidenzia il Viminale.
In forte calo le persone giunte dalla Libia, seguendo un trend avviato a luglio: sono 544, contro le 2.188 dello 2017. Gli arrivi di quest’anno vedono in testa, come nazionalità, senegalesi (90), seguiti da nigeriani (56), gambiani (50), marocchini e guineani (42). Sul fronte delle richieste d’asilo, nel 2017 sono state esaminate 80 mila domande su un totale di 130 mila, 10 mila in meno rispetto al 2016.
Quelle accolte sono state appena il 40% (47.839), il che significa che sei richiedenti asilo ogni dieci si sono visti respingere la domanda. A dirlo i dati della Fondazione Ismu che sottolinea come tra quanti hanno avuto un esito positivo crescono coloro che hanno ottenuto lo status di rifugiato (8,5% contro il 5,5% del 2016), mente cala il numero dei  ai quali è stata riconosciuta la protezione sussidiaria.
Uno su quattro, infine, ha ricevuto la protezione umanitaria (riconosciuta per oggettive situazioni personali gravi). Flop totale, infine, sul fronte ricollocamenti. In più di due anni – da settembre 2017 a dicembre 2017 -sono stati trasferiti dall’Italia verso uno Stato Ue solo 11.464 richiedenti protezione. Nella quasi totalità dei casi si tratta di eritrei (95%) seguiti da 521 siriani e da 98 di altre nazionalità. La Germania è il paese che ne ha accolti di più (43%).
A restare altissimo il numero di coloro che hanno perso la vita: nel 2017 si stima siano stati 3.116, in pratica 18 morti ogni mille persone sbarcate. Crescono pure i rimpatri: 6.340 l’anno scorso, contro i 5.300 del 2016. Nonostante ciò il tema  entra prepotentemente nella campagna elettorale con toni da invasione, mentre i numeri, come abbiamo appena ricordato, ci dico altro.


qui il commento di Antonio Ciniero

martedì 9 gennaio 2018

Una società policulturale che pone nuove sfide (articolo Gazzetta del mezzogiorno 9-1-2018)





di Antonio Ciniero

I primi cittadini stranieri non comunitari arrivano nel Salento attorno agli anni ‘80. Provengono dal Marocco, dal Senegal, dallo Sri Lanka e dalle Filippine. Migrazioni di ripiego, conseguenza delle politiche di stop attuate dai Paesi che erano mete tradizionali dei migranti (Francia, Regno Unito, Germania, Belgio, Svizzera, Olanda) e che fecero pensare a un fenomeno temporaneo, ma, come nel resto del paese, la previsione fu presto mentita. Fino alla seconda metà degli anni ’90, la Puglia e il Salento, nello specifico, grazie alla loro posizione geografica, hanno continuato a essere tra le aree del paese che hanno registrato il maggior numero di ingressi in Italia, in particolare per i flussi provenienti da est. Terre di arrivo e transito dei migranti diretti verso altre zone d’Italia e d’Europa. In Albania, intanto, si consumava l’assalto alle ambasciate, dopo la caduta dell’ultima cortina di ferro. L’immigrazione albanese (1990-1991) verso la Puglia è quella che più di altre modifica il panorama migratorio locale, ma condiziona anche le scelte politiche nazionali. Nel 1992, con la crisi del Corno d’Africa, arriva la comunità somala ed eritrea. Nel 1998, iniziano a stabilizzarsi sul territorio di alcune comunità (albanese e marocchina, seguite da quella srilankese, senegalese e filippina) e comincia una significativa espansione della comunità cinese, che da allora in poi sarà in costante espansione. Nel 1999, con la guerra in Kosovo, riprendono gli sbarchi sulle coste salentine dei profughi in fuga dai bombardamenti: complessivamente transitano in Puglia più di 150 mila profughi. In generale, è proprio dalla fine degli anni Novanta che i flussi migratori nel Salento iniziano a stabilizzarsi: aumentano le coppie miste, i figli dei migranti iscritti nelle scuole, le richieste di cittadinanza, gli acquisti di abitazioni. A queste presenze “storiche”, divenute ormai stabili sul territorio, hanno continuato ad aggiungersi ogni anno nuovi arrivati. Nel 2002 si assiste a una netta prevalenza delle comunità dell’Europa dell’Est, incentivata dalla sanatoria che interessa principalmente cittadine romene, polacche, bulgare, ucraine, russe e moldave impegnate in attività di cura. Dal 2002 a oggi, sono continuati gli arrivi via mare, non solo attraverso la rotta albanese (Valona - Otranto), che anzi è diventata sempre meno seguita, ma anche attraverso la Grecia. Arriva via mare un considerevole numero di richiedenti asilo provenienti, per lo più, dal Medio Oriente (Afghanistan, Iran, Siria, Turchia, Iraq), a cui si sono aggiunti, dal 2011, a seguito delle Primavere arabe, prima, e della cosiddetta Emergenza Nord Africa, dopo, richiedenti asilo provenienti dal continente africano (Tunisia, Libia, Eritrea, Sudan, e negli ultimi anni sempre più dalla Nigeria).
Presenze storiche e nuovi arrivi cambiano il volto della migrazione sul territorio. Nuove sfide si pongono ai sistemi di welfare locali, spesso incapaci nel dare risposte efficaci, perché schiacciati sull’anacronistica retorica dell’emergenza. La migrazione, in Italia e sul territorio locale, è un fenomeno strutturale: sono oltre 130 le diverse provenienze geografiche presenti in provincia di Lecce. Abbiamo, come si dice, il mondo in casa. Sono oltre 127 mila i cittadini stranieri presenti nella sola Puglia, e di questi oltre 26 mila, il 15% hanno meno di venti anni. Ragazze e ragazzi nati e cresciuti qui, italiani di fatto, ma non riconosciuti come tali. Le vicende legate alla mancata approvazione della legge sullo Ius Soli danno la tara del ritardo politico e culturale delle nostre istituzioni. Il Parlamento italiano, in cinque anni di legislatura, non è stato in grado di approvare una legge che riconoscesse un semplice dato di fatto: le nostre società sono oramai società policulturali e pongono istanze di riconoscimento non più eludibili.  È questa la sfida delle migrazioni, che sono sempre state un importante banco di prova per la vita democratica di un paese. Ben vengano quindi iniziative legate al dialogo interculturale e interreligioso, capaci di tracciare percorsi di cittadinanza e inclusione che superino la finta emergenza sulla quale in Italia si tenta di schiacciare il discorso sulle migrazioni, tra i fenomeni più complessi, ma anche più ricchi di possibilità, della nostra contemporaneità.