Abstract della relazione che sarà presentata in occasione del Convegno Riconoscimento, tutela e promozione sociale delle comunità rom e sinte in Italia. Quali azioni promuovere che si svolgerà il 20 febbraio, presso la Sala degli Atti Parlamentari, Biblioteca del Senato “Giovanni Spadolini”, Piazza della Minerva 38, Roma.
Qui, la registrazione video completa del convegno.
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di Antonio Ciniero
La questione di chi possa essere o meno
considerato rom non ha una soluzione
condivisa, né sul piano degli studi scientifici, né su quello della definizione
politico-legislativa. Non esistono criteri oggettivi per determinare chi sia
rom e chi non lo sia: esistono paesi in cui i rom sono riconosciuti come
minoranza e altri in cui non lo sono; non tutti coloro che si autodefiniscono o
sono definiti rom parlano la stessa lingua, o condividono una religione comune;
inoltre i gruppi rom hanno provenienze geografiche diverse, così come molto
diverse sono le condizioni socio-economiche o i livelli di scolarizzazione.
Anche i tassi di partecipazione alla vita politica dei paesi nei quali vivono
cambiano sensibilmente, sia in termini di partecipazione attiva che passiva (Bačlija, Haček, 2012; McGarry, Timofey,
2014).
Nonostante
questa varietà, considerare i rom come appartenenti a gruppi etnici e/o con
caratteristiche culturali comuni, più o meno rigidamente definite, è stato e
continua ad essere un approccio piuttosto diffuso in parte della letteratura
sul tema e, soprattutto, nell’azione politica che le istituzioni pubbliche
mettono in campo. Sul piano
sociale e culturale, il processo di costruzione di un’immagine più o
meno omogenea - in alcuni casi essenzialista
- con cui viene identificata la cultura rom, iniziato nel Settecento con la
diffusione delle teorie sull’origine
indoariana del romanes, continua
ancora oggi a condizionare, in particolare, il discorso pubblico sui rom
(Sigona, 2006). È un discorso
alla cui formazione partecipano, a diversi livelli, molti attori: politici,
rappresentanti istituzionali, attivisti, associazioni, media, artisti e
rappresentanti delle élites romanì (McGarry,
2014), che veicolano, a seconda dei casi, immagini con cui identificare la
cultura rom: devianza, precarietà economica, disagio abitativo, ma anche
rivendicazione in positivo di aspetti legati dell’uso del romanes, al mito fondativo della
comune discendenza indoariana di tutti i rom o alle rappresentazioni
artistiche, elementi parziali sui quali si basa, di volta in volta, la
rappresentazione complessiva della storia, dell’identità e della cultura romanì (Daniele, 2010), lasciando da
parte, tra l’altro, tutti gli aspetti di negoziazione dinamica dei singoli
nella sfera pubblica e anche in quella privata (Benhabib, 2002).
Questo tipo di definizione culturalista
dei rom, in Italia più che altrove, ha influenzato l’azione politica delle
istituzioni pubbliche e delle organizzazioni sociali. È il caso delle leggi
regionali che dagli anni Ottanta hanno istituito in diverse regioni italiane
aree sosta da destinare alla residenza esclusiva dei rom, o anche l’istituzione
negli anni Settanta delle classi lacio
drom. Il condizionamento culturalista dell’azione politica non è solo un
retaggio del passato. Per fare un esempio, ancora nel 2016, nella Strategia per
l’integrazione dei Rom, Sinti e Caminanti della Regione Emilia Romagna, si
legge, riguardo al tema del lavoro: la cultura zingara non appare
generalmente compatibile con un inserimento occupazionale basato su una
prestazione lavorativa giornaliera da portare avanti secondo un numero costante
di ore alle dipendenze di terzi (p. 45). Il condizionamento culturalista si
ripropone, inoltre, in maniera preponderante nella proposta di legge “Norme per
la tutela e le pari opportunità della minoranza storico-linguistica dei Rom e
dei Sinti”, in particolare quando si fa riferimento alle forme dell’abitare e ai
dispositivi di discriminazione positiva previsti esclusivamente per Rom e Sinti
per favorire l’accesso all’alloggio (artt. 26, 27, 28, 29 e 30) e, anche se con
minore enfasi, quando affronta il tema del lavoro (art. 31).
Tra le ricadute maggiormente
contradditorie di questo tipo di impostazione, c’è la ridefinizione, su un
piano di presunte differenze culturali, di ciò che in molti casi è invece
conseguenza di diseguaglianze sociali, reiterate per generazioni, in parte
incentivate o mantenute proprio dagli interventi politici.
I processi di esclusione sociale di cui
parte dei rom è vittima sono, in primo luogo, una questione di politica sociale e
come tale dovrebbe essere affrontata, non in termini etnico-culturali, anche
perché, evidenze storiche ci dicono che processi di inclusione sociale positiva
si sono registrati proprio laddove non è stata creata politicamente “una
questione rom”. Il caso di alcuni gruppi rom dell’Italia meridionale è a tal
proposito emblematico.
In diversi territori dell’Italia meridionale, che
registrano presenze rom già a partire dal 1500, si sono rilevati processi di
inclusione sociale positiva proprio laddove sono stati assenti dispositivi
politici o giuridici che tendevano a separare i rom dal resto della popolazione
(Pontrandolfo, 2013; Ciniero, 2017). Inoltre,
aspetto non secondario, sul piano dei rapporti e delle interazioni sociali, la
mancata definizione politica e giuridica di una differenza della quale i rom
sarebbero portatori rispetto al resto della popolazione ha anche facilitato le
possibilità di confronto e scambio tra rom e non rom.[1] Ha fatto
sì che l’identità e l’appartenenza culturale, fossero, a seconda dei casi,
negoziate, rivendicate o anche rifiutate, ma sempre all’interno di relazioni
individuali, famigliari e sociali. Le relazioni sociali, individuali e
famigliari, sebbene esercitino delle forme di condizionamento (legate al
reddito, al genere, all’età, all’estrazione sociale) sulla vita dei singoli,
non hanno la possibilità di tradurre, sul piano politico, tali forme di
condizionamento, come invece avviene quando sono le leggi a sancire e reificare
una differenza che inevitabilmente produce effetti sociali.
La costruzione identitaria e l’appartenenza culturale,
svincolata da politiche etniche, diviene in primo luogo una questione di scelta
personale, un’elaborazione individuale complessa, processuale e articolata, che
è facilitata nell’avere tali connotazioni proprio perché non è ingabbiata nelle
anguste maglie definitorie di una legge o di un insieme di provvedimenti
amministrativi.
Riferimenti bibliografici
Bačlija I., Haček M., 2012, Minority
Political Participation at the Local Level: e Roma, in International Journal
on Minority and Group Rights, n.
19, 53–68.
Benhabib S.,
2002, The Claims of Culture:
Equality and Diversity in the Global Era, Princeton University Press, Princeton.
Ciniero A., 2017, Mascarimirì,
come legge! Percorsi scolastici, identità e rielaborazione delle appartenenze
culturali nel racconto intergenerazionale di una famiglia rom dell’Italia
meridionale. Note su un’indagine in corso, in Rivista di Storia
dell’Educazione, v. 1, n. 1,
giugno 2017. pp. 31-49
Daniele U., 2010, Zingari di carta. Un percorso nella
presa di parola rom ai tempi dell’emergenza, in Zapruder, n. 21, Odradek, Roma, pp. 57-72.
McGarry A. (2014), Roma as a
political identity: Exploring representations
of Roma in Europe, in Ethnicities, Vol. 14(6) 756–774.
McGarry A, Timofey A. (2014), Unpacking
the Roma Participation Puzzle: Presence, Voice and Influence in Journal of Ethnic and Migration Studies,
Vol. 40, No. 12, 02.12.2014, p. 1972-1990.
Pontrandolfo, S.. 2013. Rom
dell’Italia meridionale, Roma: CISU.
Piasere L., 2004, I rom
d’Europa. Una storia moderna, Editori Laterza, Roma-Bari.
Sigona N., 2006, Locating the “Gypsy problem”. The Roma in
Italy: Stereotyping, Labelling and Nomad Camps, Journal
[1]
La storia dei diversi gruppi rom è, infatti, profondamente connessa con
quella dei luoghi in cui hanno vissuto. Le relazioni storicamente sviluppatesi
tra rom e non rom non sono univoche ed ineluttabili, hanno nel tempo assunto
forme differenti (persecuzione, esclusione, assimilazione, scambio), a seconda
dei contesti geografici e delle politiche pubbliche vigenti in quei luoghi
(Piasere, 2004).
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