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domenica 31 marzo 2024

Le politiche dell’esclusione. Centri di accoglienza, ghetti agricoli e campi rom in Italia

 E' appena uscito per Meltemi il ultimo libro: Le politiche dell’esclusione. Centri di accoglienza, ghetti agricoli e campi rom in Italia. 



Qual è la genesi dei centri di accoglienza per i migranti? Come sono nati i ghetti agricoli in Italia? Cosa hanno in comune con i campi rom? Come si vive in questi luoghi? Che effetti hanno sulle traiettorie di vita delle persone che li abitano e, più in generale, sul resto della società?
Sono le domande a cui provo a rispondere con questo libro, a partire dall’attività di ricerca degli ultimi dieci anni, in cui ho attraversato questi luoghi che sono dei luoghi di vita e di comprensione del reale, di processi concreti e simbolici che non riguardano solo chi ci vive, ma la società contemporanea nel suo complesso. 

L’obiettivo di questo lavoro è analizzare il modo in cui i centri di accoglienza (e, parallelamente, il sistema di accoglienza), i ghetti agricoli e i campi rom abbiano contribuito, nel solco di una legislazione sulle migrazioni profondamente contraddittoria, a determinare forme di esclusione sociale, integrazione subalterna e inclusione differenziale di segmenti di popolazione definita migrante anche dopo decenni di permanenza nel nostro paese, così come accade ai discendenti nati e cresciuti in Italia. Un altro intento è quello di provare a fare luce sulle categorie di pensiero, che, attraverso la riproduzione ininterrotta di stereotipi, pregiudizi, proiezioni, spesso ingabbiano il percorso della democrazia verso i diritti, anche laddove esista una volontà di cambiamento, proprio perché improntati, oggi come ieri, al non ascolto, al non riconoscimento dei soggetti coinvolti e delle loro istanze.


qui il link al sito della casa editrice









giovedì 29 settembre 2022

Reddito di cittadinanza “miti propagandistici” Vs dati reali




di Antonio Ciniero

Il Reddito di Cittadinanza pare essere diventata la causa principale dei problemi del paese, sono mesi che il tema tiene banco nel dibattito pubblico. Peccato però che nel dibattito trovino spazio solo le considerazioni e le opinioni di coloro che le propongono. Ognuno ha un amico imprenditore che non può assumere per colpa del RdC, ognuno conosce chi lavora in nero per propria scelta per continuare a percepire RdC, ognuno conosce qualcuno che rifiuta il lavoro proposto per continuare a percepire comodamente sul divano il RdC. Senza nulla togliere alla percezione individuale degli illustri signori e delle illustri signore che affollano il dibattito politico nostrano, penso che uno sguardo ai dati possa aiutare a proporre ragionamenti, se non più equilibrati, quantomeno maggiormente ancorati alla realtà. 

In due anni, tra il 2019 e il 2020, le truffe accertate da Carabinieri e Guardia di finanza hanno riguardato 174 milioni circa su una spesa complessiva di 15 miliardi circa, vale a dire l’1% del totale. 

Secondo un report di febbraio 2022 dell’istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche: il Reddito di cittadinanza ha rappresentato un’ancora di salvezza per 1,8 milioni di famiglie.  Inoltre, il report, sottolinea che circa il 46% dei percettori risultano occupati (552.666 standard e 279.290 precari) con impieghi tali da non consentir loro di emergere dal disagio e da costringerli a ricorrere al RdC per la sussistenza. Si tratta quindi dei cosiddetti “working poors”, lavoratori poveri, quello che può apparire un ossimoro è, invece, sempre più una triste realtà, conseguenza dalle politiche economiche neoliberiste, e, tra l’altro, sempre più in crescita nel nostro paese, come ci ricordano annualmente i report dell’Istat dedicati all’analisi della povertà in Italia. 

Rispetto a chi ha rifiutato i lavori proposti, altro mito cavalcato da chi vorrebbe abolire il RdC, i motivi rilevati nel rapporto su menzionato da coloro che hanno declinato l’offerta proposta sono stati i seguenti: nel 53,6% l’offerta è stata rifiutata perchè non in linea con le competenze possedute, nel 24,5% perché non in linea con il proprio titolo di studio, nell’11,9% per una retribuzione troppo bassa. Solo il 7,9% di coloro che hanno rifiutato l’offerta lavorativa ha indicato la necessità di spostarsi come causa prevalente del rifiuto.

Il RdC è uno strumento che sicuramente si può migliorare, per farlo però non bastano proclami propagandistici, serve un approccio serio. Guardare ai dati è un primo passo.  

Più in generale però, bisognerebbe lavorare per invertire le dinamiche economiche che favoriscono i processi di impoverimento che riguardano fasce sempre più ampie di popolazione. Detto in altri termini, per contrastare i processi di impoverimento servono politiche di redistribuzione della ricchezza, serve mettere al centro dell’azione politica il lavoro e la tutela dei diritti del lavoro invertendo la tendenza dell’ultimo quarantennio che, mortificando lavoro e diritti del lavoro, ci ha portato alla situazione attuale.  




venerdì 6 maggio 2022

II Sessione - Dal lato oscuro del confine. Mobilità e diritti alle frontiere d'Europa


 


Campi informali e pratiche di autorganizzazione

Chair: Ivan PUPOLIZIO (Università degli Studi di Bari "Aldo Moro") Interventi di: Elena FONTANARI (Università degli Studi di Milano) Antonio CINIERO (Università del Salento) Irene PEANO (Universidade de Lisboa) Giuliana SANÒ (Università degli Studi di Messina) Francesco MARCHINI (University of South Wales)


lunedì 17 agosto 2020

Alcune brevi considerazioni a caldo rispetto ai dati sulla “mancata regolarizzazione” diffusi dal ministero dell’Interno

 


i dati sono consultabili qui 


207.542 sono le domande presentate, molto al di sotto delle stime fate negli anni che parlano di un numero di irregolari compreso in una forbice che va dalle 400 mila alle 600 mila unità. Sicuramente escludere settori come quello della logistica o dell’edilizia ha inciso negativamente sul numero delle emersioni. Più in generale, però, c’è da constatare che è fallimentare (oltre che cinicamente utilitaristico e riduzionista) l’idea di legare la possibilità di emersione dalla condizione di irregolarità amministrativa al possesso di un contratto di lavoro, specie in un periodo di emergenza sanitaria come quello che stiamo vivendo.  

 

L’85% (176.848) delle domande presentate ha riguardato il settore del lavoro domestico. Si tratta, soprattutto, di collaboratori famigliari (oltre 122 mila domande) e assistenti a persone disabili e/o non autosufficienti (oltre 50 mila domande). Insomma, stando a questi dati, i pericolosi clandestini di cui parla la propaganda razzista e xenofoba, lontani dall’essere persone che vivono nel buio pronti a commettere chi sa quali delitti, sono persone che con il loro lavoro sostengono le famiglie a cui il nostro sistema di welfare, martoriato negli ultimi trent’anni da politiche liberiste, non riesce a garantire l’assistenza e il sostegno di cui avrebbero bisogno!

 

Le domande per la regolarizzazione di persone che avevano lavorato o stanno lavorando in nero nel settore agricolo, sono state meno di 30 mila (29.555), molto al di sotto delle 150 mila che le organizzazioni datoriali si aspettavano. Anche questo dato non sorprende. Il problema del settore agricolo, specie di quello stagionale, non è tanto legato al fatto che chi vi lavori non abbia un documento regolare di soggiorno, quanto al fatto che nel settore agricolo stagionale incide in maniera pesante il lavoro nero e grigio. Detto altrimenti, il problema non è tanto che i migranti non abbiano i documenti in regola per soggiornare, quanto il fatto che una quota rilevante di datori di lavoro non assume in maniera regolare i lavoratori, stranieri o italiani che siano!

 

Rispetto alla distribuzione geografica delle domande, la maggior parte ha riguardato le regioni del centro-nord Italia (Lombardia, Emilia Romagna, Lazio) e le aree metropolitane (Milano, Napoli, Roma), quelle che normalmente attraggono il maggior numero di cittadini stranieri perché offrono maggiori opportunità di lavoro. I migranti che diventano irregolari, principalmente a causa delle storture legislative, non vivono nei “ghetti”, ma nelle città dove lavorano e vivono da decenni. Spesso non sono visibili, non perché vogliano nascondersi, ma perché, per lavorare, si svegliano quando ancora le “città dormono” oppure il loro lavoro invisibile sostiene il lavoro visbile delle marche che fanno “grande il made in Italy” o ancora lavorano nelle cucine dei rinomati ristoranti stellati…  Interessante e incontro tendenza appare il dato della campagna, sparatutto quello delle provincie non metropolitane (Caserta, Salerno) che registrano un numero significativo di domande presentate.

 

Rispetto alle cittadinanze di coloro che hanno presentato domanda, per quanto riguarda il lavoro domestico, le principali aree geografiche di provenienza sono: Ucraina, Bangladesh, Pakistan, Georgia, Marocco, Perù, Albania, Cina, India, Egitto; per quanto riguarda il lavoro agricolo sono: Albania, Marocco, India, Pakistan, Bangladesh, Tunisia, Senegal, Egitto.

Anche in questo caso, salta una delle retoriche più amate dai razzisti del bel paese, quella secondo la quale i clandestini sarebbero “i palestrati appena sbarcati con tanto di smartphone …”. Come è possibile vedere, ad essere costretti all’irregolarità, sono nella maggior parte dei casi soggetti che appartengono a gruppi nazionali di antico insediamento sul territorio italiano, soggetti che diventano irregolari, magari perché, dopo decenni di presenza, si ritrovano senza lavoro…  

 

Al di là di quello che questi dati ci potranno dire quando le analisi saranno maggiormente approfondite e più raffinate, al momento, possiamo dire, senza timore di essere smentiti, che quando si pensa una regolarizzazione avendo come stella polare i profitti e non i diritti, i risultati non possono che essere fallimentari, soprattutto sul piano dei diritti e della tutela della vite delle persone.

 


Questo procedimento di regolarizzazione è stata l’ennesima occasione mancata dal nostro paese per riconoscere diritti a chi ne è privo a causa delle storture della legge e per tentare di avere una gestione meno contraddittoria dei fenomeni migratori.

lunedì 8 luglio 2019

La “guerra alle migrazioni”



di Antonio Ciniero


Quando, in Europa, è iniziata la “guerra alle migrazioni”?

Non è sicuramente iniziata con Salvini o con Minniti, si può datare l’inizio con il 1985, quando vengono adottati i trattati di Schengen, quelli che istituiscono l’“EuropaFortezza”, uno spazio sempre più aperto alla circolazione delle persone europee e delle merci, ma sempre più impenetrabile, almeno regolarmente, per le persone non europee. È dalla metà degli anni Ottanta che, di fatto, le ambasciate non rilasciano più visti di ingresso per i paesi europei; è da quegli anni che iniziano gli arrivi con i “barconi” in Europa; è da quegli anni che il mediterraneo si insanguina, che si trasforma da “mare che per secoli aveva unito i popoli” a “enorme cimitero a cielo aperto”: sono oltre 30 mila i morti nel mediterraneo dagli anni Ottanta ad oggi, più della metà dei quali sono morti negli ultimi 4 anni!

Perché in Europa, a partire dagli anni Ottanta, le migrazioni vengono sempre più connotate negativamente?

martedì 26 febbraio 2019

Arrivi/morti in Europa (gennaio – febbraio 2018/2019). Un tragico confronto


di Antonio Ciniero

Confrontando i dati sugli arrivi/decessi in Europa di quest’anno con quelli dello stesso periodo dell’anno scorso emerge che, in generale - in linea con quanto era accaduto l’anno scorso rispetto al 2017 - si continua a registrare il calo del numero degli arrivi. Se gli arrivi calano, non diminuisce però la probabilità di morire durante la traversata del Mediterraneo che anzi è aumentata di circa 10 volte. Se la probabilità di morire nel tentativo di raggiungere l’UE è una delle conseguenze della politica delle frontiere chiuse, avviata a livello europeo con l’adozione degli accordi Schengen, l’aumento di tale probabilità è invece una delle conseguenze della guerra dichiarata alle operazioni di salvataggio delle vite in mare. Una guerra avviata a livello europeo, prima, con gli attacchi alle operazioni di salvataggio della Marina Militare Italiana, in particolare all’operazione Mare Nostrum e proseguita poi con la guerra alle Ong,  un vero e proprio attacco alla solidarietà e al diritto/dovere di salvare vite in mare, iniziata dal Ministro Minniti e portata avanti, in piena continuità, dall’attuale inquilino del Viminale.

Nell’info grafica che segue (fonte UNHCR) ci sono i dati per il periodo che va dal 1 gennaio al 24 febbraio 2019
In tutto il Mediterraneo i morti sono stati 207, lungo la rotta del Mediterraneo centrale sono stati 144.


domenica 30 settembre 2018

Sguardi eretici contro il muro della paura



di Antonio Ciniero



Recensione al libro curato da Gennaro Avallone Il sistema di accoglienza in Italia. Esperienze, resistenze, segregazione (Orthotes Editrice, pp. 218, euro 17) già pubblicata ne Il Manifesto

È almeno dal 2011, a seguito della guerra in Libia, che in Italia, e più in generale in Europa, è diventato quasi impossibile per i cittadini stranieri entrare in condizione di regolarità, se non in pochi casi.
DA QUELL’ANNO, l’Ue nel suo complesso e i singoli stati membri, più o meno esplicitamente, hanno cercato in ogni modo di bloccare gli ingressi sul proprio territorio attivando a tal scopo una serie di dispositivi che vanno dagli accordi sottoscritti con il governo di Erdogan in Turchia e di al-Sarraj in Libia all’istituzione degli hotspot, dai muri con il filo spinato alla proliferazione di campi profughi che sono nati nel cuore dell’Europa, come Idomeni fino a qualche tempo fa, o più recentemente Salonicco o Calais, passando per le periferie e le campagne delle città europee. Si tratta di dispositivi che minano il diritto alla mobilità, soprattutto di chi non ha in tasca il passaporto di un paese che conta o soldi «per comprare» un visto.
L’ATTUALE SISTEMA di accoglienza italiano, così pieno di contraddizioni e oggi così criticato da più parti, si è consolidato durante la cosiddetta «emergenza nord Africa», quando era ministro dell’Interno Roberto Maroni della Lega Nord, e ha ricevuto conferme dai successivi governi di centro-sinistra. Si tratta di contraddizioni strutturali, che non riguardano solo i casi eclatanti di mala accoglienza più volte denunciati negli ultimi anni, ma più che altro il sottile, ambiguo, filo di separazione fra dimensione formale e informale, legalità e illegalità, inclusione ed esclusione, che caratterizza i luoghi e i modi di questa accoglienza.

martedì 3 luglio 2018

L'unico effetto della politica dei porti chiusi è l'aumento dei morti in mare







di Antonio Ciniero


Questi sono i dati relativi agli arrivi dei migranti giunti via mare in Europa appena pubblicati dall’Unhcr.

Si vedano i dati sugli arrivi e i morti/dispersi dal 2014 al 2017. 

Come è possibile vedere, il numero dei morti (si tenga presente che è stimato per difetto), tranne per il picco del 2016, è pressoché costante nonostante vari il numero complessivo degli arrivi. 
La spiegazione è semplice e drammatica allo stesso tempo. Si muore soprattutto sulla rotta che dalla Libia porta in Italia, quella è la rotta più pericolosa. Lo si sa da anni! È lungo quella rotta che oggi si tenta di impedire le operazioni di salvataggio!

I dati relativi al 2015 sono particolarmente chiarificatori: quell’anno in Europa, a seguito della crisi siriana, arrivano oltre un milione di persone. La gran parte, oltre 845 mila persone, segue la rotta balcanica - quella che verrà chiusa finanziando il regime di Erdogan l’anno successivo – ed entrano in Europa attraverso la Grecia, su questa rotta muoiono 806 persone. Attraverso l’Italia via Libia invece giungono in Europa solo 153 mila persone ma ne muoiono oltre 2900!
Con la criminalizzazione delle operazioni di salvataggio, iniziata dal precedente governo ed esasperata da questo attuale, i morti purtroppo aumenteranno. Quest’anno sono già morte oltre mille persone!
Chi ci governa non può continuare a far finta di non saperlo, i tanti che continuano a gioire per i porti chiusi, se ancora non sono cosci, sappiano che stanno gioendo di una strage che continuerà a mietere vittime quanto più continuerà questa assurda guerra alle operazioni di salvataggio in mare!

Chi ipocritamente ripete che la chiusura dei porti serve a scoraggiare le partenze, si ricordi che, se anche così fosse, la gente che non parte continuerà ad essere torturata all’interno dei centri per migranti in Libia! Anche questa cosa la sappiamo da anni, checché ne dica il ministro degli interni!
Porti aperti, e vie di ingresso regolari e sicure subito! Non c’è altra alternativa nell’immediato!

venerdì 15 giugno 2018

Nessun cambiamento, come era prevedibile: si peggiora solo il peggiorabile






di Antonio Ciniero


Le iniziative messe in campo dal neo ministro degli Interni, nonostante il tentativo di presentarle come nuove, si pongono in perfetta continuità con gli interventi in materia di politica migratoria e di governance dei flussi attuati dall’Italia e dall’UE da almeno un trentennio. La vicenda della nave Aquarius mostra senza filtri il cinismo e l’aspetto inumano della gestione delle migrazioni anche al grande pubblico, ma non rappresenta un ribaltamento dell’approccio italiano alla gestione dei flussi migratori degli ultimi anni.

Dall’adozione degli accordi di Schengen in poi, la chiusura delle frontiere e la selezione degli ingressi è stata, e continua ad essere, la bussola di tutti gli interventi normativi in materia migratoria del nostro paese, come lo è delle legislazioni nazionali di quasi tutti i paesi europei e dell’Ue nel suo complesso.

Nel nostro paese però, più che altrove, i vari tentativi di ridurre il numero degli ingressi irregolari non solo sono sistematicamente falliti, ma hanno generato un paradosso (solo apparente): quanto più le leggi diventavano repressive e restrittive, quanto più erano orientate a ridurre la clandestinità, tanto più l’irregolarità di soggiorno cresceva (sia l’irregolarità di ingresso, che la cosiddetta irregolarità sopraggiunta).[1] I sedici anni di applicazione della cosiddetta legge Bossi-Fini lo hanno mostrato chiaramente. Ovviamente non è casuale, e l’irregolarità in Italia è aumentata più che altrove perché il nostro paese non ha, a differenza di altri paesi europei, dei meccanismi di regolarizzazione permanenti, ma ha avuto solo sporadiche sanatorie una tantum.
Le politiche di chiusura delle frontiere, la restrizione dei canali d’ingresso regolare, la precarizzazione della condizione giuridica degli stranieri e il mancato riconoscimento dei diritti di cittadinanza hanno fatto sì che si instaurasse una dialettica tra stato e mercato, in cui i processi che costringono i migranti all’irregolarità e all’esclusione consegnano agli agenti economici un utile strumento di svalorizzazione della forza lavoro: una situazione utilissima a chi domanda lavoro, perché mette a disposizione una manodopera priva di diritti da sottoremunerare ed utilizzare per incrementare i profitti.


domenica 4 febbraio 2018

L’Italia è attraversata dalla violenza razzista e sessista: è tempo di reagire

Photo credit: Ilaria Papa

di Antonio Ciniero e Ilaria Papa

  
L’Italia è attraversata dalla violenza razzista e sessista. Ciò che è successo a Macerata non è, purtroppo soltanto un caso isolato, il gesto estremo di una personalità definita borderline, esasperata magari da altri problemi e fatti, come velocemente è stato dichiarato su diversi media, anche stranieri, e da alcuni esponenti politici. C’è una vasta, complessa trama, in alcuni punti più lenta e sottile, quasi invisibile, impalpabile, in altri più immediatamente percepibile, che attraversa l’Europa e, in particolare, l’Italia. Episodi come quello di Macerata, che evocano con forza fantasmi ed incubi da un passato che pensavamo non sarebbe potuto tornare, rappresentano solo alcuni nodi più evidenti di questa rete di fatti e idee. Era un simpatizzante di Forza Nuova anche l’uomo che a gennaio ha ucciso la moglie e sparato sulla folla dal balcone di casa nel Casertano.
Sia chiaro, la violenza sessista è un fatto trasversale a status, classi, definizioni politiche e nazionalità. Tuttavia, qualunque cosa ne dicano gli accusatori soltanto per “profilo etnico” (nel caso degli autoctoni, si tratterebbe sempre di cose da poco o sarebbero le donne ad essersela andata a cercare, come qualche politico ha dichiarato dopo i fatti di Firenze che hanno visto due carabinieri indagati per stupro), alcune connessioni, alcuni legami, trasversali a partiti e idee politiche, classi, età, tali da creare influenze, alimentare problematiche e comportamenti, ci sono e sono rintracciabili in alcune condotte, che, a voler guardare, risultano chiare. Queste condotte, se ci sta a cuore il futuro della nostra democrazia, il valore della vita di tante persone, dei nostri figli e di noi stessi, di quello che siamo e abbiamo costruito, dovrebbero essere smascherate, rivelate, portate alla luce e denunciate, combattute, il più possibile.

sabato 20 maggio 2017

Un difficile anniversario. Breve cronaca di un processo di regressione dei diritti in Italia

Due uomini in cerca di lavoro durante la Grande Depressione americana del 1929

di  Antonio Ciniero e Ilaria Papa


Il 20 maggio 1970 veniva promulgato lo Statuto dei Lavoratori, uno dei più avanzati testi giuridici di tutela dei diritti dei lavoratori. 

Nel 1997 viene promulgata la legge n. 196, più conosciuta come pacchetto Treu, dal nome dell’allora ministro del lavoro e oggi presidente del CNEL, l’ente che lo stesso Treu voleva abolirle fino allo scorso 4 dicembre.

Nel 2003 viene approvata la legge n. 30 (da alcuni chiamata impropriamente legge Biagi). 

Nel 2014 viene  approvata la legge n. 183 (il cosiddetto Jobs Act).

lunedì 24 aprile 2017

Non volete le ONG? Aprite le frontiere!


Photo credit: Medici Senza Frontiere 


di Antonio Ciniero

Un’ipocrisia di fondo caratterizza e circonda tutti gli attacchi che in questi giorni si sono registrati al lavoro delle ONG che operano in mare tra l’Italia e la Libia, accusate di favorire l’immigrazione irregolare e di collaborare con scafisti senza scrupoli. È un’ipocrisia insopportabile soprattutto quando questi attacchi provengono da chi riveste un ruolo politico, perché, in questo caso, chi è latore degli attacchi lo fa perché ignora il fenomeno, cosa grave per chi ha responsabilità politiche, oppure perché è in mala fede ed evidentemente preferisce un aumento di morti in mare da piangere e commemorare in qualche giornata istituita ad hoc.

L’esistenza stessa degli “scafisti”, del sistema criminale che in molti casi organizza la traversata dei migranti che vogliono raggiungere l’Europa, è conseguenza diretta delle politiche migratorie adottate sia dall’Unione Europea - già dall’adozione dai trattati di Schengen nel 1985 - che dai singoli paesi membri.

Qualunque cosa ne dicano i vari governanti, malinformati o in malafede che siano, le politiche di chiusura delle frontiere non hanno nessun effetto sulla riduzione dei flussi migratori, possono al massimo ri-orientare le rotte, come è avvenuto, per esempio, nel 1973, quando l’emanazione delle cosiddette “politiche di stop” ha spostato i flussi migratori dai paesi del centro e nord Europa (Inghilterra, Germania, Belgio, Svizzera, Francia) verso i paesi dell’Europa mediterranea, o come avvenuto più recentemente con la chiusura della cosiddetta rotta balcanica sul finire del 2015, il cui principale effetto è stato l’aumento del numero dei morti nel Mediterraneo…Basta ricordare i dati, che sono tragicamente evidenti rispetto a ciò. Nel 2015, seguendo la rotta balcanica, sono arrivate in Europa, attraverso la Grecia, oltre 840 mila persone. In questo tragitto ne sono morte circa 800. Attraverso l’Italia, via Libia, sono arrivate invece circa 150 mila persone e ne sono morte oltre 2800. Nel 2016 nel Mediterraneo sono morte oltre 5 mila persone!