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lunedì 8 luglio 2019

La “guerra alle migrazioni”



di Antonio Ciniero


Quando, in Europa, è iniziata la “guerra alle migrazioni”?

Non è sicuramente iniziata con Salvini o con Minniti, si può datare l’inizio con il 1985, quando vengono adottati i trattati di Schengen, quelli che istituiscono l’“EuropaFortezza”, uno spazio sempre più aperto alla circolazione delle persone europee e delle merci, ma sempre più impenetrabile, almeno regolarmente, per le persone non europee. È dalla metà degli anni Ottanta che, di fatto, le ambasciate non rilasciano più visti di ingresso per i paesi europei; è da quegli anni che iniziano gli arrivi con i “barconi” in Europa; è da quegli anni che il mediterraneo si insanguina, che si trasforma da “mare che per secoli aveva unito i popoli” a “enorme cimitero a cielo aperto”: sono oltre 30 mila i morti nel mediterraneo dagli anni Ottanta ad oggi, più della metà dei quali sono morti negli ultimi 4 anni!

Perché in Europa, a partire dagli anni Ottanta, le migrazioni vengono sempre più connotate negativamente?


A partire dagli anni Ottanta, il mantra delle politiche migratorie europee è stato: bisogna ridurre gli ingressi! E per ridurre gli ingressi servono politiche di controllo delle frontiere sempre più restrittive, dispositivi di permanenza in condizione di regolarità particolarmente rigidi come quelli che legano la permanenza in condizione di regolarità al possesso di un contratto di lavoro (si pensai al contratto di soggiorno introdotto in Italia dalla 189 del 2002, la cosiddetta Bossi-Fini) ed espulsioni per chi non è in regola.
Ad oggi però, come assodato dai dati e dalla letteratura sul tema, tali politiche, lontane dal raggiungere l’obiettivo prefissato (ridurre gli ingressi e ridurre l’irregolarità) hanno:
·      agito sulla condizione di ingresso dei migranti, facendo aumentare gli ingressi irregolari;
·      favorito il passaggio da una condizione di regolarità ad una di irregolarità rendendo particolarmente difficile il percorso inverso (come avviene quando qualcuno perde il lavoro e non lo ritrova nei tempi previsti dalla normativa);
·      creato una massa di soggetti deprivati di qualsiasi diritto come avviene nel caso dei soggetti che sono destinatari di un ordine di espulsione che non verrà mai eseguito per mancanza di accordi bilaterali.
Questa irregolarità creata per legge risulta (non) paradossalmente funzionale alla domanda di lavoro poco tutelato, flessibile, precario, che dagli anni Ottanta ad oggi è cresciuta sempre più.
Se il secondo millennio è nato sotto il segno della precarietà strutturale del lavoro, il lavoratore immigrato è certamente colui che meglio, e più drammaticamente, incarna questo paradigma.
La lettura semplicistica sdoganata anche da forze (sedicenti) di sinistra che vede nei migranti un elemento di fluidificazione del mercato del lavoro, confonde la causa con l’effetto, non sono i migranti la causa delle scarse tutele per i lavoratori, semmai i migranti sono coloro che più pagano l’assenza di tutele che è conseguenza di una lotta di classe che Luciano Gallino ci ricordava essere sempre più combattuta (e fino ad oggi anche vinta) dall’alto!


Le ONG favoriscono le migrazioni irregolari? Sono colluse con i trafficanti?

La guerra alle migrazioni, negli ultimi due anni, si è concentrata su un altro attore, non solo i migranti, ma anche coloro che provano a costruire solidarietà ed in particolare contro coloro che provano a ridurre il numero dei morti determinato, in primo luogo, dalle politiche di chiusura delle frontiere. Sono passati due anni da quando uno zelante procuratore della repubblica dichiarava “che avevano le prove della collusione delle navi delle ONG con gli scafisti ma che non potevano essere portate in dibattimento”. Sono passati due anni e non c’è stato un solo processo che abbia suffragato questa fantasiosa tesi, come era ovvio che fosse. Anzi, i processi si sono chiusi prima ancora di iniziare perché evidentemente quelle che il procuratore aveva in mano non erano prove! Chi oggi è spinto alla partenza dalle coste del nord Africa non lo fa perché in mare ci sono le (sempre meno) navi ONG, ma lo fa per sfuggire a situazioni che mettono in pericolo la propria vita. L’unico effetto che si è ottenuto fin ora della guerra alle ONG è stato quello di veder aumentare negli ultimi tre anni di 10 volte la probabilità di morire lungo le traversate del mediterraneo!


Chi la vince questa guerra contro le migrazioni? E chi la perde?

La risposta è semplice e drammatica allo stesso tempo, per capire chi fin ora sta vincendo questa guerra basta guardare chi ne ha tratto vantaggi.
Sul piano politico, hanno vinto tutti coloro che facendo dell’immigrazione un nemico da combattere hanno guadagnato consenso elettorale e potere politico.
Sul piano economico ci guadagnano tutti coloro i quali traggono profitti dalla condizione di irregolarità dei migranti: chi impiega irregolarmente lavoratori, violando le sempre più blande normative in tema di diritto al lavoro, e i vari “gestori dell’irregolarità”, ad iniziare da chi gestisce i Centri per l’Identificazione e il Rimpatrio dei cittadini stranieri presenti irregolarmente sul territorio.

Chi l’ha persa? Come accade in ogni guerra a perdere sono i più, in primis coloro che sono stati letteralmente condannati a morte, miglia di vite strappate ad un futuro migliore che provavano a costruire in nome di una sporca guerra tutta ideologica, in termini più generali, a perdere, nel suo complesso, è la vita democratica, la società che si sta costruendo sulla paura e sull’esclusione.  




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