Antonio Ciniero
Dopo
lo sciopero del 2011 dei braccianti agricoli alloggiati nel campo di Boncuri
(Nardò - Le), in Italia è tornato a riaprirsi un dibattito pubblico sul tema
del lavoro in agricoltura, soprattutto di quello stagionale; aspetto
sicuramente positivo ma che rischia di avere tra le altre conseguenze quella di
ridurre la complessità del tema trattato, selezionando e proponendo alla
discussione pubblica solo alcuni aspetti del fenomeno e in questo modo
favorendo la diffusione di un’immagine molto parziale della questione: è il
caso di quanto sta avvenendo rispetto alla tematizzazione del rapporto
intercorrente tra caporalato e sfruttamento lavorativo. Una
tematizzazione che rischia di avere ricadute politiche, economiche e sociali
non indifferenti.
Dal
2012 ad oggi, molte sono state le inchieste giornalistiche, le analisi
socio-economiche, le pubblicazioni che hanno affrontato la questione del lavoro
agricolo con un approccio che ha finito per far coincidere, per lo meno
nell’immaginario pubblico, il fenomeno del caporalato con quello dello sfruttamento
lavorativo in agricoltura. E questo non solo in abito giornalistico, ma anche
in parte della pubblicistica specialistica dedicata al tema e, soprattutto, nel
dibattito politico ed istituzionale che di fatto negli ultimi anni si è
limitato a discutere di interventi - tra l’altro ancora lontani dall’essere
approvati - volti al solo contrasto del caporalato.