Cerca nel blog

giovedì 9 giugno 2016

Jerry è morto per colpa di balordi, Mohamed perché faceva caldo e Sekine per legittima difesa…


Antonio Ciniero

Il 25 agosto del 1989, a Villa Literno, in provincia di Caserta, Jerry Masslo, fu colpito a morte con tre colpi di pistola nel capannone dove dormiva perché rifiutò di consegnare ad una banda di balordi il denaro che aveva faticosamente messo da parte raccogliendo pomodori per tre lunghi mesi. Masslo aveva 30 anni quando è morto, era un esule sudafricano, impegnato nella lotta contro il regime di apartheid, scappato in Italia perché nel suo paese rischiava la vita e tuttavia nel nostro paese non fu riconosciuto rifugiato politico per via della riserva geografica, allora in vigore, con la quale l’Italia aveva sottoscritto la Convenzione di Ginevra.  
Il 20 luglio dell’anno scorso, Abdullah Mohamed, cittadino sudanese, riconosciuto rifugiato politico dall’Italia, muore a soli 47 anni mentre raccoglie pomodori in un campo del Salento, non ha un contratto per quel lavoro, è arrivato a Nardò solo un paio di giorni prima della sua morte, dormiva nei campi, all’interno del ghetto di Nardò.  
L’8 giugno 2016, Sekine Triore, 26 anni, proveniente dal Mali, muore nella tendopoli di San Ferdinando, alle porte di Rosarno in Calabria.  
Può sembrare azzardando mettere in relazione queste tre morti? Forse sì, ma non si possono non tenere in considerazione alcuni elementi che le accomunano …  
 
A morire sono stati in tutti e tre i casi uomini costretti ad uno sfruttamento inumano, quello che permette di produrre buona parte del made in Italy, quel made in Italy consumato con troppa leggerezza sulle tavole imbandite, quello che si esporta, quello che le filiere cercano di ripulire superficialmente dall’odore dell’ingiustizia, ma forse no, questa circostanza è solo un caso e queste tre morti non hanno nulla in comune;  
Così come forse è solo un caso che queste vite, troppo velocemente strappate all’affetto dei propri cari, siano state costrette, nella civilissima Europa, nell’Italia culla dei diritti, in luoghi abbietti, lontano dallo sguardo e dalla coscienza civica di un paese o di quello che ne resta, relegate nei tanti ghetti e tendopoli, tappe obbligate che puntellano le traiettorie del lavoro stagionale agricolo in Italia; luoghi che costringono questi uomini ad un’eterna provvisorietà, che li pongono al di là di ogni forma di esclusione sociale, un’esclusione difficile financo da immaginare.  
Forse queste tre morti non hanno nulla in comune, o forse, hanno così tanto in comune che è meglio tacerlo, è meglio renderlo invisibile perché altrimenti si dovrebbero chiamare in causa pesanti responsabilità politiche, economiche e civili di questo paese …  
È più facile, più accettabile, derubricare queste tre morti ad altro, e allora sì, è meglio pensare che Jerry sia morto solo per colpa di balordi, Mohamed solo perché faceva caldo e Sekine per legittima difesa. È meglio pensare questo, è meglio non interrogarsi, non interrogare le Istituzioni, meglio non preoccuparsene, infondo, quanto può valere la vita di uomini che si costringe ad una non esistenza?  

Nessun commento:

Posta un commento