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venerdì 25 novembre 2022

Le contraddizioni sono strutturali

 



Quando si confonde il marketing con la politica i risultati non possono che essere quelli a cui stiamo assistendo. Quando immagini, slogan, comunicati, dichiarazioni, post, video, articoli, racchiusi dentro narrazioni mediatiche parziali e di parte, prendono il sopravvento sulla realtà, sulla conoscenza reale di quella realtà, quando la costruzione della figura di un leader conta più, mediaticamente, dei percorsi collettivi e di gruppo, sui processi di riflessione, sullo stare sul campo e sull’impegno (silenzioso), sulle lotte concrete che tanti lavoratori e lavoratrici (italiani e non) portano avanti con fatica, succede che nel fango dei commenti violenti e ironici non finiscano solo certe foto patinate diffuse  e commentate sui social e sui media. Chi ci guadagna in tutto ciò? Al momento, indubbiamente, le destre al governo, che possono lavorare ad una pessima manovra senza che se ne parli, dando in pasto all’opinione pubblica l’ennesimo scandalo, che si poteva prevedere! Se solo certa sinistra fosse stata in quei luoghi dove si costruiscono, appunto, pratiche solidali. 


La campagna mediatica che sta montando ha un obiettivo ben preciso, non mira solo a colpire un singolo, mira, anche e soprattutto, a screditare ogni forma di opposizione, ogni forma di resistenza, ogni forma di critica rigorosa. 

A breve, dal caso singolo si passerà a colpire (politicamente e mediaticamente) l’insieme delle lotte e delle forme di solidarietà. È una cosa che abbiamo già visto in tempi recenti. 
Il sistema di accoglienza nel suo insieme sarà, molto probabilmente, il prossimo bersaglio. 
A ciò, da sinistra, o si risponde mettendo insieme le lotte per superare l’attuale gestione dell’accoglienza che produce strutturalmente contraddizioni o, tra qualche anno, rivivremo nuovamente questo déjà-vu.

Forse scriverò una cosa impopolare, ma è così: tutto l’attuale sistema di accoglienza italiano è pieno di contraddizioni. Non sorprende, visto che si tratta di un sistema pensato nel 2011, quando era ministro dell’Interno Maroni (Lega Nord) e consolidatosi, prima durante la cosiddetta “Emergenza nord Africa”, poi,  dal 2015, con la cosiddetta crisi dei rifugiati. È un sistema che crea contraddizioni, perché contradditorio è l’approccio europeo e italiano alle migrazioni, un approccio in continua tensione tra esclusione ed inclusione, nella gran parte dei casi subalterna.

Un sistema dove si verifica un processo di continua circolarità tra formale e informale, in cui queste due dimensioni si sovrappongono in maniera tale da rendere difficile dire dove finisce l’una e dove inizia l’altra. I luoghi di accoglienza istituzionali, i CARA, per esempio, in tutte le regioni meridionali, sono, quasi sempre, contigui ai ghetti e ai campi nei quali risiedono i braccianti sfruttati in agricoltura, e la gran parte di chi sta nei CARA, per non dire la quasi totalità, lavora a condizioni di grave sfruttamento proprio in agricoltura, in un sistema che sospende, in Italia, nel cuore dell’Europa, i più elementari Diritti Umani. 

Oggi, la gestione dell’accoglienza dei richiedenti asilo e protezione ha importanti ricadute economiche e colpisce drammaticamente la vita dei migranti, sia per responsabilità europee, come il Trattato di Dublino, che italiane, ad iniziare dal fatto che non abbiamo una legge organica in materia di asilo e che la legge che continua a regolamentare le migrazioni è una delle peggiori d’Europa, la n. 189 del 2002, la cosiddetta Bossi-Fini. Eppure è possibile pensare e praticare forme diverse di accoglienza, lo può fare perché ci sono gli strumenti (anche giuridici) per farlo, come il caso dell’accoglienza degli oltre 154 mila cittadini ucraini mostra chiaramente! Nessuno dei 154 mila ucraini accolti è passato dai grandi centri di (non) accoglienza! Per quanto riguarda l’accoglienza di chi fugge da situazioni di crisi è necessario mettere a sistema queste modalità e non utilizzarle solo come casi di accoglienza differenziale.  

È ora di dire in maniera netta e senza ambiguità alcuna, che il sistema di accoglienza italiano, oggi, nel complesso - a prescindere dalle buone intenzioni o dall’operare in maniera corretta delle tante organizzazioni del terzo settore e dei loro operatori e operatrici - assolve la funzione a cui ieri assolvevano le quote, i (finti) decreti flussi o il contratto di soggiorno: fare dei cittadini stranieri dei soggetti resi istituzionalmente deboli, perennemente ricattabili e di conseguenza maggiormente sfruttabili.

Le politiche di chiusura delle frontiere, la restrizione dei canali d’ingresso regolare, la precarizzazione della condizione giuridica degli stranieri e il mancato riconoscimento dei diritti di cittadinanza nel nostro paese, ma la situazione non è molto diversa negli altri paesi europei, fanno sì che si instauri una dialettica tra stato e mercato, in cui i processi che costringono all’irregolarità e all’esclusione, consegnano agli agenti economici un utile strumento di svalorizzazione della forza lavoro: una situazione utilissima a chi domanda lavoro, perché mette a disposizione una manodopera priva di diritti da sotto-remunerare ed utilizzare per incrementare i profitti. 

O si ribalta tutto ciò politicamente, a partire da chi, concretamente, nei territori quotidianamente lavora per portare presidi di solidarietà e diritti o nulla potrà cambiare. La sinistra non ha bisogno di leader, ma di prendere coscienza dei propri errori.

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