Cerca nel blog

venerdì 6 maggio 2022

II Sessione - Dal lato oscuro del confine. Mobilità e diritti alle frontiere d'Europa


 


Campi informali e pratiche di autorganizzazione

Chair: Ivan PUPOLIZIO (Università degli Studi di Bari "Aldo Moro") Interventi di: Elena FONTANARI (Università degli Studi di Milano) Antonio CINIERO (Università del Salento) Irene PEANO (Universidade de Lisboa) Giuliana SANÒ (Università degli Studi di Messina) Francesco MARCHINI (University of South Wales)


martedì 1 marzo 2022

Presentazione Dossier Statistico Immigrazione 2021 (Università del Salento)





I corsi di Laurea in Area Politologica, Servizio Sociale e in Governance Euromediterranea delle Politiche Migratorie, in collaborazione con i Dipartimenti di Storia, Società e Studi sull’Uomo e di Scienze Giuridiche dell’Università del Salento organizzano il seminario di presentazione del Dossier Statistico Immigrazione 2021, curato dal Centro Studi e Ricerche IDOS (Roma).

PROGRAMMA DEI LAVORI: SALUTI ISTITUZIONALI MARIANO LONGO, Direttore del Dipartimento di Storia Società e Studi sull’Uomo – Università del Salento LUIGI MELICA, Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche – Università del Salento ELIANA AUGUSTI, Presidente Corso di Laurea in Governance Euromediterranea delle Politiche Migratorie DANIELE DE LUCA, Presidente Corsi di Laurea di Area Politologica INTRODUZIONE AI LAVORI MATTEO BIFFONI, Sindaco di Prato - Delegato nazionale ANCI all’immigrazione e politiche per l’integrazione e Presidente della Fondazione Cittalia PRESENTAZIONE DEI CONTENUTI DEL “DOSSIER STATISTICO IMMIGRAZIONE” LUCA DI SCIULLO, Centro Studi e Ricerche Idos ANTONIO CINIERO, Università del Salento e Redazione Regionale Centro Studi e Ricerche Idos INTERVENTI DI COMMENTO PAOLO DE NARDIS, Università La Sapienza e Presidente Istituto di Studi Politici S. Pio V AZMI JARJAWI, Dipartimento Politiche Migratorie CGIL – Puglia CONCLUSIONI LAURENCE HART, Direttore OIM - Ufficio di Coordinamento per il Mediterraneo - Capo Missione per l'Italia e Malta


qui il video

venerdì 17 dicembre 2021

Intervista ad Avvenire: «Rom bulgari schiavizzati per la passata economica»

 link all'articolo qui

«Quando una bottiglia di passata costa meno di un euro, possiamo essere certi che quei pomodori sono stati raccolti in queste campagne da braccianti trattati come schiavi». Antonio Ciniero, docente di sociologia delle migrazioni all’Università del Salento, conosce bene i ghetti in cui hanno perso la vita i due bambini rom bulgari. E quali sono le dinamiche economiche imposte dalle catene dei supermercati, che provocano lo sfruttamento brutale dei braccianti stranieri.

Quando ha scoperto i ghetti di questa etnìa di braccianti?
Durante le mie indagini sullo sfruttamento dei braccianti agricoli. Vengono per la stagione del raccolto, in baraccopoli nella Capitanata, la provincia di Foggia. A Borgo Mezzanone, frazione di Manfredonia, il maggior numero, lungo la pista dell’ex aeroporto militare dove sorgeva il Cara chiuso con la pandemia. In questi anni sono morti in incidenti analoghi altre cinque persone: un rom nel 2016, Ivan Miecoganuchev, nel 2018 Bakary Secka, nel 2019 Samara Saho, nel 2020 una ragazza nigeriana, a giugno di quest’anno Mohammed Ben Ali. Ora i due bambini.

Quanti sono in zona i braccianti?
Il picco di presenza è d’estate, circa 5 mila presenze, soprattutto africani. Fino al 2011 era la prima tappa del percorso dell’immigrazione irregolare, poi con la crisi economica del 2008 e l’instabilità in Nord Africa sono arrivati immigrati che avevano perso il posto nel Nord Est o nelle città, africani e comunitari

E i rom bulgari? Come sono arrivati nel foggiano?
A Borgo Mezzanone nel 2009 nasce il "Ghetto dei bulgari", rom della città di Sliven. All’inizio arrivano con una catena migratoria basata sul passaparola, poi con arrivi organizzati da bulgari in contatto con il caporalato. I pullman passano in Grecia e sbarcano a Bari e Brindisi. Parte si ferma nel foggiano, il resto va a Mondragone nel casertano, dove si accampano nei "palazzi Cirio" ghetti verticali fatiscenti. Famiglie che stanno da giugno a settembre per il pomodoro, poi tornano per riportare i figli a scuola e passare l’inverno coi soldi guadagnati. Chi non guadagna abbastanza resta per la raccolta di finocchi e altri ortaggi. D’inverno nelle baracche ci sono i più poveri tra i poveri.

Come mai questi incendi continui?
Anche a Stornara le baracche sono di legno, impermeabilizzate coi teli di plastica antigrandine delle vigne. Bombe incendiarie. Sono ghetti ignorati dalle istituzioni che se ne accorgono solo quando, regolarmente, si verificano queste tragedie. Gli unici interventi istituzionali sono stati gli sgomberi. Nel 2018 è stato eliminato il Ghetto dei bulgari, a Borgo Mezzanone, ma ai quasi mille risiedenti non è stata offerta nessuna alternativa. E si sono riformati micro-insediamenti in baracche o casolari abbandonati. Il sindaco di Stornara ha detto: «Abbiamo perso due bambini della nostra comunità». Ma se ne sono accorti solo adesso.

Quanto è invasiva l’azione del caporalato?
L’intermediazione riguarda ogni aspetto della vita dei braccianti. All’arriva in Italia vengono portati con furgoni nelle baraccopoli che devono risistemarsi. L’affitto mensile è di 60 euro, decurtato dalle paghe. Sono pagati a cottimo: mentre gli africani guadagnano 3 o 4 euro a cassone di pomodori da 300 chili, e ne riempiono una decina a giornata, i rom bulgari prendono meno di 2 euro a cassone, perché arrivano con le famiglie e facendo lavorare anche la moglie e i ragazzi, riescono a mettere insieme qualcosa, mentre gli africani sono uomini soli. I caporale prende 5 euro per il trasporto dalla baraccopoli, 3 euro per il panino e l’acqua, 2 euro per un’altra bottiglia. E nei ghetti isolati devono comprare il cibo dai caporali o da loro intermediari che pagano un pizzo. I prezzi di cibo e medicinali sono quadruplicati. Il lavoro che fanno è usurante e spesso abusano di antidolorifici. Ho visto vendere una bustina di Oki per 5 euro.

La criminalità organizzata ha un ruolo?
La Relazione annuale della Direzione Antimafia già nel 2017 segnalava segnali di cooperazione tra soggetti bulgari e sodalizi criminali italiani.

E la Grande distribuzione organizzata?
Nella provincia di Foggia è coltivato il 40% di tutto il pomodoro italiano. Siamo secondi solo agli Stati Uniti. Il ruolo della Grande distribuzione organizzata è centrale in questo sfruttamento, perché schiaccia anche le aziende, comprando il prodotto prima del raccolto e imponendo il prezzo. I produttori quindi possono tagliare solo sul "capitale variabile", cioè la forza lavoro. Che in questo caso rasenta il lavoro schiavile.


sabato 11 dicembre 2021

A proposito dell’inchiesta del tribunale di Foggia sull’ennesimo caso di caporalato "scoperto"

 



di Antonio Ciniero

Il lavoro agricolo, soprattutto quello stagionale, si situa al centro delle innumerevoli contraddizioni che caratterizzano la nostra epoca. In esso si sommano e radicalizzano dinamiche che investono oggi i mercati del lavoro e, più in generale, i sistemi produttivi dei paesi capitalistici avanzati. Tra le principali contraddizioni, ci sono quelle relative ai processi di precarizzazione della condizione lavorativa, con il conseguente depauperamento del potere contrattuale dei lavoratori  (specie della forza lavoro migrante); quelle relative alle ricadute socio-economiche delle politiche migratorie, con le quali - sia a livello internazionale che nazionale - si disciplinano i movimenti migratori; quelle relative ai processi di esclusione sociale, determinati dall’invisibilità agli occhi dell’opinione pubblica dei ghetti nei quali i lavoratori svolgono buona parte della loro vita; quelle innescate dalla peculiarità delle filiere produttive e dei processi distributivi dei prodotti agricoli. Tutte queste contraddizioni contribuiscono a fare del lavoro agricolo, soprattutto dopo la crisi economica del 2008, un settore di ripiego, nel quale trova occupazione, quasi esclusivamente, forza lavoro senza altra alternativa occupazionale. 

A queste, come ha messo in luce nuovamente l’ultima inchiesta del Tribunale di Foggia, si sommano quelle dei poteri tradizionali del notabilato locale, di chi può contare sull’arroganza del potere, un potere che, deve essere riconosciuto, inizia a scricchiolare anche grazie al lavoro della magistratura e di strumenti operativi che sempre più spesso si riescono ad avviare. Sono strumenti importanti, che nel nostro ordinamento sono stati introdotti grazie anche alle lotte dei lavoratori, come quella dei braccianti di Nardò che nel 2011, per primi, dopo lunghi anni, diedero vita ad uno sciopero memorabile. Sono state le lotte di quei lavoratori che hanno avuto il merito di riportare al centro del dibattito pubblico il tema dello sfruttamento lavorativo in agricoltura facilitato dal meccanismo del caporalato. 

Dopo quello sciopero tanta strada è stata fatta, ma tanta ne resta ancora da compiere. Se sul piano contrasto penale dello sfruttamento molto si è mosso (legge 199/2016), se sul piano degli interventi istituzionali tanto si sta facendo, sia a livello nazionale che regionale (l’adozione del Piano nazionale per il contrasto dello sfruttamento lavorativo e del caporalato, i programmi e le progettualità complesse per il superamento dello sfruttamento lavorativo e del caporalato in agricoltura, non casualmente l’inchiesta che porta oggi alla luce l’ennesimo caso di caporalato nel territorio foggiano è frutto dei controlli che nel territorio sono stati attivanti anche all’interno del programma Su.Pr.Eme Italia), sul piano della difesa e del potenziamento dei diritti dei lavoratori agricoli, come di tutti gli altri lavoratori, bisogna ancora lavorare molto… d’altro canto, il lavoro, i diritti dei lavoratori, e non solo dei lavoratori stagionali, sono oggetto di continuo attacco delle politiche neoliberiste da oltre un trentennio, emblema di una lotta di classe combattuta dall’alto, come ebbe a dire il compianto Luciano Gallino.

Quanto avviene nelle campagne foggiane, le condizioni di sfruttamento dei lavoratori e le commistioni tra i diversi poteri che condizionano il lavoro agricolo, e che questa inchiesta ha riportato nuovamente alla ribalta, non sono un retaggio del passato che resiste alla modernità che avanza, sono anzi tra gli esempi più emblematici di quello che gli studiosi chiamano da tempo “modello californiano della produzione agricola”: un modello di produzione dove innovazione tecnologia e forme di grave sfruttamento non solo convivono, ma si alimentano vicendevolmente. 

Se questo è lo scenario, non è difficile capire perché - come raccontato dalle centinaia di persone incontrate nel corso degli ultimi dieci anni - il lavoro agricolo stagionale sia divenuto sempre più una gabbia dalla quale è difficile uscire…




mercoledì 15 settembre 2021

Oltre il campo. convegno di presentazione del volume


Per la prima volta in Italia, amministratori pubblici si confrontano su quanto realizzato negli anni per favorire il superamento dei campi rom.


Il superamento delle baraccopoli, tema centrale dell'azione di advocacy dell'Associazione 21 luglio Onlus e obiettivo principale della Strategia nazionale di inclusione dei Rom, Sinti e Caminanti è affrontato nello studio Oltre il campo (Edizioni Tau) presentato dalla Fondazione Migrantes e curato da un'equipe di ricercatori di Associazione 21 luglio coordinata da Antonio Ciniero dell'Università del Salento.


L'evento si inserisce all'interno di un contesto storico-politico di discontinuità rispetto al passato: nelle intenzioni di alcuni amministratori, 15 campi rom, in Italia, saranno superati nei prossimi 18 mesi.


Convegno nazionale organizzato in collaborazione con la Diocesi di Roma. Per vedere la registrazione del convegno, cliccare qui



lunedì 1 febbraio 2021

Presentazione Dossier Statistico Immigrazione 2020 (Università del Salento)

 

Presentazione del Dossier Statistico Immigrazione 2020, curato dal Centro Studi e Ricerche Idos, organizzata dai corsi di Laurea in Area Politologica e in Governance Euromediterranea delle Politiche Migratorie, in collaborazione con i Dipartimenti di Storia, Società e Studi sull’Uomo e di Scienze Giuridiche dell’Università del Salento organizzano. 29 gennaio 2021

https://youtu.be/BkQuBpenlJ0



lunedì 17 agosto 2020

Alcune brevi considerazioni a caldo rispetto ai dati sulla “mancata regolarizzazione” diffusi dal ministero dell’Interno

 


i dati sono consultabili qui 


207.542 sono le domande presentate, molto al di sotto delle stime fate negli anni che parlano di un numero di irregolari compreso in una forbice che va dalle 400 mila alle 600 mila unità. Sicuramente escludere settori come quello della logistica o dell’edilizia ha inciso negativamente sul numero delle emersioni. Più in generale, però, c’è da constatare che è fallimentare (oltre che cinicamente utilitaristico e riduzionista) l’idea di legare la possibilità di emersione dalla condizione di irregolarità amministrativa al possesso di un contratto di lavoro, specie in un periodo di emergenza sanitaria come quello che stiamo vivendo.  

 

L’85% (176.848) delle domande presentate ha riguardato il settore del lavoro domestico. Si tratta, soprattutto, di collaboratori famigliari (oltre 122 mila domande) e assistenti a persone disabili e/o non autosufficienti (oltre 50 mila domande). Insomma, stando a questi dati, i pericolosi clandestini di cui parla la propaganda razzista e xenofoba, lontani dall’essere persone che vivono nel buio pronti a commettere chi sa quali delitti, sono persone che con il loro lavoro sostengono le famiglie a cui il nostro sistema di welfare, martoriato negli ultimi trent’anni da politiche liberiste, non riesce a garantire l’assistenza e il sostegno di cui avrebbero bisogno!

 

Le domande per la regolarizzazione di persone che avevano lavorato o stanno lavorando in nero nel settore agricolo, sono state meno di 30 mila (29.555), molto al di sotto delle 150 mila che le organizzazioni datoriali si aspettavano. Anche questo dato non sorprende. Il problema del settore agricolo, specie di quello stagionale, non è tanto legato al fatto che chi vi lavori non abbia un documento regolare di soggiorno, quanto al fatto che nel settore agricolo stagionale incide in maniera pesante il lavoro nero e grigio. Detto altrimenti, il problema non è tanto che i migranti non abbiano i documenti in regola per soggiornare, quanto il fatto che una quota rilevante di datori di lavoro non assume in maniera regolare i lavoratori, stranieri o italiani che siano!

 

Rispetto alla distribuzione geografica delle domande, la maggior parte ha riguardato le regioni del centro-nord Italia (Lombardia, Emilia Romagna, Lazio) e le aree metropolitane (Milano, Napoli, Roma), quelle che normalmente attraggono il maggior numero di cittadini stranieri perché offrono maggiori opportunità di lavoro. I migranti che diventano irregolari, principalmente a causa delle storture legislative, non vivono nei “ghetti”, ma nelle città dove lavorano e vivono da decenni. Spesso non sono visibili, non perché vogliano nascondersi, ma perché, per lavorare, si svegliano quando ancora le “città dormono” oppure il loro lavoro invisibile sostiene il lavoro visbile delle marche che fanno “grande il made in Italy” o ancora lavorano nelle cucine dei rinomati ristoranti stellati…  Interessante e incontro tendenza appare il dato della campagna, sparatutto quello delle provincie non metropolitane (Caserta, Salerno) che registrano un numero significativo di domande presentate.

 

Rispetto alle cittadinanze di coloro che hanno presentato domanda, per quanto riguarda il lavoro domestico, le principali aree geografiche di provenienza sono: Ucraina, Bangladesh, Pakistan, Georgia, Marocco, Perù, Albania, Cina, India, Egitto; per quanto riguarda il lavoro agricolo sono: Albania, Marocco, India, Pakistan, Bangladesh, Tunisia, Senegal, Egitto.

Anche in questo caso, salta una delle retoriche più amate dai razzisti del bel paese, quella secondo la quale i clandestini sarebbero “i palestrati appena sbarcati con tanto di smartphone …”. Come è possibile vedere, ad essere costretti all’irregolarità, sono nella maggior parte dei casi soggetti che appartengono a gruppi nazionali di antico insediamento sul territorio italiano, soggetti che diventano irregolari, magari perché, dopo decenni di presenza, si ritrovano senza lavoro…  

 

Al di là di quello che questi dati ci potranno dire quando le analisi saranno maggiormente approfondite e più raffinate, al momento, possiamo dire, senza timore di essere smentiti, che quando si pensa una regolarizzazione avendo come stella polare i profitti e non i diritti, i risultati non possono che essere fallimentari, soprattutto sul piano dei diritti e della tutela della vite delle persone.

 


Questo procedimento di regolarizzazione è stata l’ennesima occasione mancata dal nostro paese per riconoscere diritti a chi ne è privo a causa delle storture della legge e per tentare di avere una gestione meno contraddittoria dei fenomeni migratori.