Antonio Ciniero
Oggi, dopo una “sosta” di circa trent’anni, il campo è abitato da poco più di 250 persone. Di queste, quasi la metà (43%) è nata in Italia e ben il 30% a Lecce. Un’intera generazione nata e cresciuta all’interno del campo sosta. Si tratta quindi di una popolazione molto giovane: il 75% ha meno di trent’anni e, tra questi, il 40% ha meno di quindici anni. La quasi totalità, eccezion fatta per i più anziani (i primi arrivati), è scolarizzata, nel senso che quantomeno ha assolto o sta assolvendo l’obbligo formativo. Sono molti i ragazzi che, ogni mattina, frequentano le scuole di ogni ordine e grado della città di Lecce. Negli ultimi anni si è registrato un cambiamento significativo nella visione che i rom hanno della scuola. Se in passato era considerata inutile, tanto che la frequenza scolastica era spesso una conseguenza delle pressioni delle Istituzioni, ora mandare i figli a scuola è sempre più una scelta da parte dei genitori. Al termine dell’orario scolastico però i ragazzi tornano nel campo, dove non ricevono visite dai compagni di classe e da cui raramente escono. Il processo di scolarizzazione inoltre, per quanto abbia apportato miglioramenti alle condizioni di vita degli abitanti del campo, è ancora lontano dal registrare tassi simili a quelli dei cittadini autoctoni e, soprattutto, difficilmente potrà ottenere risultati efficaci finché l’orizzonte di vita dei ragazzi sarà condizionato dai limiti che il campo impone. Il campo infatti delimita non solo spazialmente, ma anche socialmente. Crea una sorta di limbo nel quale le nuove generazioni vivono, più dei loro genitori, le contraddizioni della marginalità e dell’esclusione. Una situazione questa che, come è stato abbondantemente messo in luce dalla letteratura sociologica, favorisce l’emergere di disorientamento individuale e condizioni di vita anomiche in tutti i gruppi sociali, non solo rom, che vivono sulla propria pelle gli effetti della marginalità. Il superamento della logica dei campi, che, è bene non dimenticare, appartiene solo all’Italia, e delle problematiche che contribuisce a innescare è un interesse collettivo, non solo dei cittadini rom, da raggiungere attraverso un impegno che non può che essere, in primo luogo, politico e istituzionale.
Le prime famiglie d’origine rom giungono sul
territorio salentino nei primi anni Ottanta, a seguito della crisi dell’ex-
Jugoslavia, dopo la morte di Tito. Inizialmente si tratta di una sola famiglia,
composta da una ventina di persone, a cui, nel corso degli anni, si aggiungono
altri gruppi familiari. Fino ai primi anni Novanta arrivano a Lecce
principalmente cittadini rom provenienti dal Montenegro (in particolare dalla
capitale Podgorica). Con la crisi del Kosovo (tra il 1996 e il 1999) al gruppo
montenegrino si aggiungono altre famiglie rom di origine kosovara. Tutte le
famiglie appartengono alla minoranza albanofona di cultura islamica (rom
XoraXané shiftaria). Questo gruppo di cittadini rom giunge in Italia sulla scia
dei più generali flussi migratori, e non per “innato istinto nomade”. Nel paese
di origine vivevano in abitazioni stabili, inserite all’interno del tessuto
urbano e sociale, sebbene periferico, delle loro città. Nonostante ciò, quando
le Istituzioni locali si accorgono della presenza dei rom sul territorio
decidono, non senza contraddizioni, di riproporre a Lecce la soluzione del
campo sosta, la stessa “ricetta” fallimentare sperimentata in altre regioni
italiane: dapprima si individua l’area dell’ex-campeggio di Solicara (1995),
poi, dal 1998, l’area di Masseria Panareo, situata in aperta campagna, senza
alcun collegamento pubblico, lungo la strada provinciale Lecce-Campi Salentina.
Questo tipo di politiche ha avuto come conseguenza una forma di ghettizzazione
che contribuisce, tra l’altro, a rafforzare nell’opinione pubblica antichi e
mai sopiti pregiudizi (i rom “sono nomadi”, “sono sporchi”, “non voglio
lavorare”…). I campi non solo non offrono alcuna risorsa, ma spesso escludono
chi li abita da qualsiasi possibilità di interagire positivamente con il resto
del tessuto sociale proprio a causa della loro dimensione stigmatizzante e
marginalizzante.
Oggi, dopo una “sosta” di circa trent’anni, il campo è abitato da poco più di 250 persone. Di queste, quasi la metà (43%) è nata in Italia e ben il 30% a Lecce. Un’intera generazione nata e cresciuta all’interno del campo sosta. Si tratta quindi di una popolazione molto giovane: il 75% ha meno di trent’anni e, tra questi, il 40% ha meno di quindici anni. La quasi totalità, eccezion fatta per i più anziani (i primi arrivati), è scolarizzata, nel senso che quantomeno ha assolto o sta assolvendo l’obbligo formativo. Sono molti i ragazzi che, ogni mattina, frequentano le scuole di ogni ordine e grado della città di Lecce. Negli ultimi anni si è registrato un cambiamento significativo nella visione che i rom hanno della scuola. Se in passato era considerata inutile, tanto che la frequenza scolastica era spesso una conseguenza delle pressioni delle Istituzioni, ora mandare i figli a scuola è sempre più una scelta da parte dei genitori. Al termine dell’orario scolastico però i ragazzi tornano nel campo, dove non ricevono visite dai compagni di classe e da cui raramente escono. Il processo di scolarizzazione inoltre, per quanto abbia apportato miglioramenti alle condizioni di vita degli abitanti del campo, è ancora lontano dal registrare tassi simili a quelli dei cittadini autoctoni e, soprattutto, difficilmente potrà ottenere risultati efficaci finché l’orizzonte di vita dei ragazzi sarà condizionato dai limiti che il campo impone. Il campo infatti delimita non solo spazialmente, ma anche socialmente. Crea una sorta di limbo nel quale le nuove generazioni vivono, più dei loro genitori, le contraddizioni della marginalità e dell’esclusione. Una situazione questa che, come è stato abbondantemente messo in luce dalla letteratura sociologica, favorisce l’emergere di disorientamento individuale e condizioni di vita anomiche in tutti i gruppi sociali, non solo rom, che vivono sulla propria pelle gli effetti della marginalità. Il superamento della logica dei campi, che, è bene non dimenticare, appartiene solo all’Italia, e delle problematiche che contribuisce a innescare è un interesse collettivo, non solo dei cittadini rom, da raggiungere attraverso un impegno che non può che essere, in primo luogo, politico e istituzionale.
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