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mercoledì 8 febbraio 2017

È caccia all’uomo!



È inquietante leggere questa circolare del Ministero degli Interni datata 26 gennaio. È stata diramata alle questure di Roma, Brindisi, Torino e Caltanissetta con l’ordine di riempire i Cie delle città in questione di “ cittadini sedicenti nigeriani” (questa la dizione della circolare) entro il 18 febbraio. Questa improvvisa stretta - tanto impellente per il mistero dell’interno da chiedere anche di rilasciare anticipatamente altri reclusi se necessario per far posto ai nigeriani – è diretta conseguenza dell’accordo di collaborazione nelle identificazioni con l’ambasciata della Nigeria.  

Questa vergognosa caccia all’uomo, non è che l’ultima delle continue violazioni ai diritti umani che in Italia e in Europa si stanno perpetuando negli ultimi anni ai danni dei migranti. Gli stati stanno cercando in ogni modo di bloccare gli ingressi sul proprio territorio attivando a questo scopo una serie di dispositivi che vanno dagli accordi sottoscritti con il governo di Erdogan all’istituzione degli hotspot, dai muri con il filo spinato alla proliferazione dei campi profughi che nascono nelle zone di confine, da Calais a Idomeni.


Sono tutti strumenti che se non hanno effetto alcuno sul piano dell’efficacia (la gente, quando non muore, continua ad arrivare in Europa e continuerà a farlo), hanno però drammatiche conseguenze sulla vita di tutti i cittadini, in primis, dei cittadini stranieri che sono così trasformati in cittadini perennemente ricattabili, privati di dritti ed esposti all’arbitrio delle decisioni politiche del momento o della volontà delle questure.

La stretta contro i cittadini Nigeriani non è casuale, oltre l’accordo sottoscritto con la Nigeria, bisogna ricordare che i cittadini nigeriani sono stati in Italia la prima comunità per numero di ingresso nel 2016 (oltre il 21% dei 181 mila arrivati proveniva dalla Nigeria). In moltissimi casi si tratta di migranti economici, o tali sono definiti dalle commissioni che esaminano le loro richieste di asilo politico, migranti dunque, che per il nostro paese, sono da respingere. Che non hanno diritto a restare nel nostro paese se non come fantasmi, come soggetti facilmente sfruttabili, proprio perché irregolari e dunque privati di diritti.


Questa circolare emanata del ministero degli interni, non è che l’ennesimo dispositivo perfettamente in linea con il sistema di (non) accoglienza italiano. Dal 2011 infatti, l’unico modo per entrare in Italia per un cittadino straniero è quello di dichiararsi perseguitato politico ed entrare quindi all’interno di un sistema fatto di hotspot, centri di prima e/o seconda accoglienza e luoghi informali in cui i cittadini stranieri sono costretti a svolgere la propria vita per un periodo di tempo più o meno lungo, spesso passando da uno all’altro di questi luoghi, il più delle volte in balia di eventi e circostanze di tipo kafkiano.

Il sistema di accoglienza italiano, oggi, nel complesso, assolve la funzione a cui ieri assolvevano le quote, i decreti flussi o il contratto di soggiorno: fare dei cittadini stranieri dei soggetti resi istituzionalmente deboli, perennemente ricattabili e di conseguenza maggiormente sfruttabili.


Gli effetti principali di questo sistema, sia sul piano della vita dei soggetti che su quello socio-economico, sono visibili nei tanti ghetti che puntellano le traiettorie del lavoro agricolo stagionale in Italia. Luoghi abbietti, abitati sempre di più da cittadini transitati dal sistema di accoglienza italiano o, addirittura, da chi è ancora inserito all’interno del sistema di accoglienza. Si tratta di masse di lavoratori assoggettati a pratiche di sfruttamento feroce.

Le politiche di chiusura delle frontiere, la restrizione dei canali d’ingresso regolare, la precarizzazione della condizione giuridica degli stranieri e il mancato riconoscimento dei diritti di cittadinanza nel nostro paese, ma la situazione non è molto diversa negli altri paesi europei, fanno sì che si instauri una dialettica tra stato e mercato, in cui i processi che costringono all’irregolarità e all’esclusione, consegnano agli agenti economici un utile strumento di svalorizzazione della forza lavoro: una situazione utilissima a chi domanda lavoro, perché mette a disposizione una manodopera priva di diritti da sottoremunerare ed utilizzare per incrementare i profitti.




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