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venerdì 2 dicembre 2016

Accoglienza o esclusione? Alcune considerazioni sul sistema di accoglienza italiano #overthefortress


di Antonio Ciniero

Più o meno a bassa voce, ma con sempre maggiore insistenza, da più parti si incomincia a dire che il sistema di accoglienza italiano ed europeo non funziona. Non funziona, se l’obiettivo è quello di tutelare la vita delle persone che partono e garantire loro una reale accoglienza, degna di questo nome, e un reale inserimento sociale. Rispetto a ciò, il sistema è del tutto fallimentare. Ed è un fallimento drammatico: oltre 4 mila morti nel Mediterraneo (stima per difetto) solo in quest’anno che volge al termine, a cui si aggiungono le morti dei migranti in transito in altre situazioni: nel deserto, un fatto di cui stenta ad arrivare persino l’eco in occidente, ma anche le tante morti e sparizioni che avvengono a causa della chiusura dei confini interni della stessa Europa. In diverse parti d’Europa migliaia di uomini, donne e bambini sostano in campi e centri, in una lunga difficilissima attesa. Per quanto riguarda l’Italia, migliaia di persone, nonostante siano destinatarie di forme di accoglienza (prima o seconda), sono costrette a forme disumane di sfruttamento nei diversi settori economici del paese, in particolare in quello agricolo, e crescono sempre più anche le vittime di sfruttamento sessuale.


L’attuale sistema di accoglienza italiano è pieno di contraddizioni. Non sorprende, visto che si tratta di un sistema pensato nel 2011 e consolidatosi durante la cosiddetta “Emergenza nord Africa”, quando era ministro dell’Interno Maroni (Lega Nord). È un sistema che crea, inevitabilmente, contraddizioni. Perché contradditorio è l’approccio europeo e italiano alle migrazioni, un approccio in continua tensione tra esclusione ed inclusione, nella gran parte dei casi subalterna, vedasi la retorica, che tanto terreno fertile ha trovato anche a sinistra, del lavoro gratis dei rifugiati fatto per ricambiare l’accoglienza.

Un sistema dove si verifica un processo di continua circolarità tra formale e informale, in cui queste due dimensioni si sovrappongono in maniera tale da rendere difficile dire dove finisce l’uno e dove inizia l’altro. I luoghi di accoglienza istituzionali, i CARA, per esempio, in tutte le regioni meridionali, sono, quasi sempre, contigui ai ghetti e ai campi nei quali risiedono i braccianti sfruttati in agricoltura, e la gran parte di chi sta nei CARA, per non dire la quasi totalità, lavora a condizioni di grave sfruttamento proprio in agricoltura, in un sistema che sospende, in Italia, nel cuore dell’Europa, i più elementari Diritti Umani. Questo è quello che abbiamo rilevato in diverse indagini in Puglia, ma questo è quello che emerge anche dai lavori di colleghi in Campania e in Sicilia.

Oggi, la gestione dell’accoglienza dei richiedenti asilo ha importanti ricadute economiche e colpisce drammaticamente la vita dei migranti, sia per responsabilità europee, come il Trattato di Dublino, che italiane, ad iniziare dal fatto che non abbiamo una legge organica in materia di asilo e che la legge che continua a regolamentare le migrazioni è una delle peggiori d’Europa, la n. 189 del 2002, la cosiddetta Bossi-Fini.

Gli Hotspot, in questo sistema, sono la contraddizione più evidente e, nonostante ciò, il prefetto Morcone si è affrettato a derubricare a “cretinaggini” le denunce di Amnesty International - in parte riprese anche dal lavoro della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei Diritti Umani del Senato – e Alfano non ha ancora dato nessuna risposta. In questi posti, così come pure nei sempre più numerosi ghetti agricoli e urbani, la violazione dei diritti umani è all’ordine del giorno.

È importante denunciare pubblicamente queste cose come stanno facendo, tra gli altri, gli attivisti di #overthefortress, che stanno attraversando l’Italia e stanno denunciando queste situazioni. Si tratta di questioni che vengono poste anche da sempre più numerosi gruppi di ricerca. Sono critiche e denunce, radicali, come lo sono tutte quelle che mettono in discussione il funzionamento di base di un sistema e che non possono che essere tali se si vuole costruire un’alternativa seria e praticabile.

Credo che si debba iniziare a dire nettamente, senza ambiguità alcuna, che il sistema di accoglienza italiano, oggi, nel complesso, assolve la funzione a cui ieri assolvevano le quote, i decreti flussi o il contratto di soggiorno: fare dei cittadini stranieri dei soggetti resi istituzionalmente deboli, perennemente ricattabili e di conseguenza maggiormente sfruttabili.

Le politiche di chiusura delle frontiere, la restrizione dei canali d’ingresso regolare, la precarizzazione della condizione giuridica degli stranieri e il mancato riconoscimento dei diritti di cittadinanza nel nostro paese, ma la situazione non è molto diversa negli altri paesi europei, fanno sì che si instauri una dialettica tra stato e mercato, in cui i processi che costringono all’irregolarità e all’esclusione, consegnano agli agenti economici un utile strumento di svalorizzazione della forza lavoro: una situazione utilissima a chi domanda lavoro, perché mette a disposizione una manodopera priva di diritti da sottoremunerare ed utilizzare per incrementare i profitti.

Non bisogna dimenticare che, quando si parla di cittadini immigrati in Italia, si parla di circa 5 milioni di cittadini, molti dei quali qui da oltre un trentennio, e in gran parte nati in Italia, che il nostro sistema giuridico continua a considerare stranieri. Ancora oggi il parlamento italiano, malgrado i numerosi proclami, non è stato in grado di approvare un legge che riconosca la cittadinanza a chi nasce in Italia. Un ritardo ingiustificabile per un paese che è destinatario di flussi migratori sin dagli anni ’70.

Per dare risposte democratiche alle questioni politiche, economiche e sociali poste dalla presenza dei cittadini migranti è essenziale superare la logica dell’emergenza ed emanciparsi dalla filosofia dell’ordine pubblico. È necessario partire da un ripensamento radicale delle politiche migratorie, capovolgere la logica securitaria con cui ci si è approcciati alle migrazioni a favore di una logica realmente inclusiva, che muova verso la prospettiva di un riconoscimento di uguaglianza e pari opportunità.

Per muovere in questa direzione, la costruzione di uno strumento politico e giuridico maggiormente adeguato a dare risposte alla complessità del fenomeno migratorio come un permesso di soggiorno per ricerca di lavoro, valido sull’intero territorio dell’Unione Europea e la semplificazione delle procedure per il rilascio di permessi umanitari e che facilitino anche i ricongiungimenti familiari, anche questi validi sull’intero territorio europeo, dovrebbero rappresentare un primo ed essenziale passo che le forze democratiche e progressiste devono esigere senza alcun tentennamento o ambiguità, senza cedere alla tentazione di chiudersi in anacronistici nazionalismi.









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