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sabato 13 aprile 2019

Quando la povertà è trasformata in retorica per legittimare forme autoritarie di potere



di Antonio Ciniero
Il presidente Statunitense Lyndon B. Johnson nel 1964 lanciò un programma con il quale si disse convinto di riuscire ad abolire la povertà entro il 1976; in Italia, evidentemente per non essere da meno, il vice premier Di Maio si è spinto oltre, arrivando a festeggiare sul balcone di palazzo Chigi l'abolizione della povertà lo scorso settembre.

Al di là delle iniziative più o meno propagandistiche e più o meno grottesche che ciclicamente vengo riproposte, stando ai dati, la povertà, non solo non è stata abolita, ma è continuamente aumentata: negli ultimi trent'anni, le vecchie e nuove forme di povertà e le forme di esclusione sociale sono cresciute ovunque nel mondo, sia tra i diversi paesi che all'interno degli stessi paesi. A questo aumento della povertà si è accompagnato un processo politico che ha fatto della  povertà una delle principali leve per costruire consenso elettorale presentando ai poveri quelli ancora più poveri come nemici da cui difendersi.
  
Si tratta di un processo sociale e politico iniziato negli anni Settanta - con l'affermarsi delle dottrine neoliberiste - che oggi fa sì che anche sedicenti intellettuali di sinistra (quelli che parlano di socialismo popolare e nazionalista, di patria e menate simili, che non casualmente sono molto apprezzati dalle forze di estrema destra...) possano giustificare il razzismo e le forme violente contro i più poveri come forme di proteste, tutto sommato accettabili, del "popolo" esasperato. Gli episodi di Torre maura e Castel Bruciato non sono che gli ultimi episodi amplificati mediatamente, tanti, troppi, non arrivano alla ribalta mediatica. Sono episodi che ci dicono molto più rispetto a quanto riportato delle cronache perché sono l’ennesimo indicatore dello sfilacciamento sociale strumentalizzato dalle forze di estrema destra, oggi al governo del nostro paese e in forte ascesa ovunque in Europa, per costruire consenso elettorale e legittimare forme di potere autoritario.

La storia ci ha insegnato che non c'è da aspettarsi nulla di buono quando si trasformano le vittime in carnefici, quando le minoranze sono trasformate in causa dei malesseri sociali, quando si arriva a giustificare il razzismo e la violenza contro i più deboli in nome della retorica della "guerra tra poveri" che cancella responsabilità e ruoli occultando dinamiche di potere.

Stiamo lentamente ma inesorabilmente scivolando verso il baratro, è importante non rassegnarsi a questo status quo. Possiamo e dobbiamo organizzare forme di resistenza culturale e democratica in tutti gli spazi pubblici, dalle strade, ai luoghi di lavoro. Non possiamo più essere silenti di fronte alla barbarie, soprattutto quando questa si presenta in forme banali nella nostra quotidianità: nei treni, negli autobus, nei nostri quartieri, nei servizi pubblici, a tavola mentre magniamo con i nostri amici e parenti.
Come ci ha insegnato Hannah Arendt, il male si presenta sotto le vesti della banalità e noi oggi abbiamo il dovere di non sottovalutarlo, altrimenti ne diventiamo complici.


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