Antonio Ciniero
Le prime famiglie d’origine rom giungono sul
territorio salentino nei primi anni Ottanta, a seguito della crisi dell’ex-
Jugoslavia, dopo la morte di Tito. Inizialmente si tratta di una sola famiglia,
composta da una ventina di persone, a cui, nel corso degli anni, si aggiungono
altri gruppi familiari. Fino ai primi anni Novanta arrivano a Lecce
principalmente cittadini rom provenienti dal Montenegro (in particolare dalla
capitale Podgorica). Con la crisi del Kosovo (tra il 1996 e il 1999) al gruppo
montenegrino si aggiungono altre famiglie rom di origine kosovara. Tutte le
famiglie appartengono alla minoranza albanofona di cultura islamica (rom
XoraXané shiftaria). Questo gruppo di cittadini rom giunge in Italia sulla scia
dei più generali flussi migratori, e non per “innato istinto nomade”. Nel paese
di origine vivevano in abitazioni stabili, inserite all’interno del tessuto
urbano e sociale, sebbene periferico, delle loro città. Nonostante ciò, quando
le Istituzioni locali si accorgono della presenza dei rom sul territorio
decidono, non senza contraddizioni, di riproporre a Lecce la soluzione del
campo sosta, la stessa “ricetta” fallimentare sperimentata in altre regioni
italiane: dapprima si individua l’area dell’ex-campeggio di Solicara (1995),
poi, dal 1998, l’area di Masseria Panareo, situata in aperta campagna, senza
alcun collegamento pubblico, lungo la strada provinciale Lecce-Campi Salentina.
Questo tipo di politiche ha avuto come conseguenza una forma di ghettizzazione
che contribuisce, tra l’altro, a rafforzare nell’opinione pubblica antichi e
mai sopiti pregiudizi (i rom “sono nomadi”, “sono sporchi”, “non voglio
lavorare”…). I campi non solo non offrono alcuna risorsa, ma spesso escludono
chi li abita da qualsiasi possibilità di interagire positivamente con il resto
del tessuto sociale proprio a causa della loro dimensione stigmatizzante e
marginalizzante.