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lunedì 25 agosto 2025

Jerry Essan Maslo. Una storia italiana

 


di Antonio Ciniero

La notte tra il 24 e il 25 agosto veniva assassinato Jerry Essan Maslo. 

Alla vicenda di Masslo, le teche rai hanno dedicato uno spazio che raccoglie interviste e spezzoni di programmi dell’epoca che parlarono della vicenda. Il titolo è infelice “La guerra di Masslo” (Masslo non ha fatto una guerra, semmai la guerra è stata fatta a Masslo e ai tanti che hanno provato a costruire un futuro lontano dal posto in cui sono nati da leggi ingiuste e liberticide), ma i materiali sono interessanti. 

Se avrete la pazienza di vederli e ascoltarli vi sembrerà di vivere un déjà vu, oltre che la storia Masslo, dell’Italia di quell’epoca, vedrete molto di quello che ancora oggi accade. 


Qui il link al sito della rai

domenica 31 marzo 2024

Le politiche dell’esclusione. Centri di accoglienza, ghetti agricoli e campi rom in Italia

 E' appena uscito per Meltemi il ultimo libro: Le politiche dell’esclusione. Centri di accoglienza, ghetti agricoli e campi rom in Italia. 



Qual è la genesi dei centri di accoglienza per i migranti? Come sono nati i ghetti agricoli in Italia? Cosa hanno in comune con i campi rom? Come si vive in questi luoghi? Che effetti hanno sulle traiettorie di vita delle persone che li abitano e, più in generale, sul resto della società?
Sono le domande a cui provo a rispondere con questo libro, a partire dall’attività di ricerca degli ultimi dieci anni, in cui ho attraversato questi luoghi che sono dei luoghi di vita e di comprensione del reale, di processi concreti e simbolici che non riguardano solo chi ci vive, ma la società contemporanea nel suo complesso. 

L’obiettivo di questo lavoro è analizzare il modo in cui i centri di accoglienza (e, parallelamente, il sistema di accoglienza), i ghetti agricoli e i campi rom abbiano contribuito, nel solco di una legislazione sulle migrazioni profondamente contraddittoria, a determinare forme di esclusione sociale, integrazione subalterna e inclusione differenziale di segmenti di popolazione definita migrante anche dopo decenni di permanenza nel nostro paese, così come accade ai discendenti nati e cresciuti in Italia. Un altro intento è quello di provare a fare luce sulle categorie di pensiero, che, attraverso la riproduzione ininterrotta di stereotipi, pregiudizi, proiezioni, spesso ingabbiano il percorso della democrazia verso i diritti, anche laddove esista una volontà di cambiamento, proprio perché improntati, oggi come ieri, al non ascolto, al non riconoscimento dei soggetti coinvolti e delle loro istanze.


qui il link al sito della casa editrice









venerdì 6 maggio 2022

II Sessione - Dal lato oscuro del confine. Mobilità e diritti alle frontiere d'Europa


 


Campi informali e pratiche di autorganizzazione

Chair: Ivan PUPOLIZIO (Università degli Studi di Bari "Aldo Moro") Interventi di: Elena FONTANARI (Università degli Studi di Milano) Antonio CINIERO (Università del Salento) Irene PEANO (Universidade de Lisboa) Giuliana SANÒ (Università degli Studi di Messina) Francesco MARCHINI (University of South Wales)


martedì 16 giugno 2020

Razzismo istituzionale, ghetti e sfruttamento Una storia italiana




di Antonio Ciniero

In Italia si muore di razzismo, e purtroppo non è una novità. È successo nuovamente qualche giorno fa, a Borgo Mezzanone (Fg) dove è morto Mohammed Ben Ali.
Borgo Mezzanone, situato a nord della Puglia, è una frazione del Comune di Manfredonia che dista circa 10 km da Foggia. È una borgata rurale, la cui fondazione risale al 1934, durante la bonifica condotta dal regime fascista. Da quasi un ventennio, è una delle tappe obbligate delle traiettorie del lavoro agricolo stagionale in Puglia per i braccianti stranieri. Sul piccolo territorio di questo borgo rurale attualmente vivono tra le 1.500 e le 2.000 persone. La gran parte vive in baraccopoli più o meno contigue al grande CARA che sorge sul territorio in cui il nostro paese ha deciso di organizzare la prima (indegna) accoglienza di chi è costretto alla migrazione dalla ferocia dell’economia e dalle guerre.
A Borgo Mezzanone, la quasi totalità di chi vive nel CARA e nei “ghetti” è costretto, da un meccanismo perverso alla cui esistenza concorre la legislazione italiana in materia di migrazione (assenza di canali regolari di ingresso per chi è alla ricerca di lavoro) e quella europea in materia di asilo (impossibilità per i migranti di raggiungere il paese desiderato in virtù del principio di “primo ingresso”), a forme di sfruttamento lavorativo feroce nel settore agricolo locale che produce un quota consistente del PIL nazionale.
La provincia di Foggia, infatti, ha una grande importanza per la produzione agricola italiana, in particolare per la produzione di pomodoro: il 40% della produzione italiana del pomodoro da trasformazione è concentrato in questa zona, dove sono presenti circa 3.500 aziende che coltivano mediamente una superficie di 26 mila ettari, per una produzione di 22 milioni di quintali e un valore pari a quasi 175.000.000 di euro. L’Italia, secondo produttore al mondo di pomodoro da trasformazione, concentra il 14% della produzione mondiale. Il valore aggiunto sul PIL prodotto dal settore dell’agricoltura italiano è uno dei più alti a livello europeo, è pari al 2,2% mentre la media europea si attesta attorno a 1,5%, e produce un introito complessivo di circa 33 miliardi di euro. Un settore tutt’altro che povero quindi, come spesso viene detto strumentalmente per tentare di giustificare ipocritamente i fenomeni di sfruttamento.
Le dimensioni delle baraccopoli di Borgo Mezzanone variano notevolmente a seconda del periodo dell’anno, raggiungo il picco delle presenze proprio a partire da questo periodo fino a settembre, anche se non pochi sono coloro i quali vi restano anche durante i mesi autunnali e invernali, sia per partecipare alla raccolta di prodotti che giungo a maturazione in quei periodi (olive e alcuni ortaggi), sia perché privi di reali alternative.
La quasi totalità di questi ghetti sono abitati da braccianti uomini, le donne che vi vivono sono sostanzialmente o costrette alla prostituzione nei bordelli improvvisati nelle campagne e spesso gestiti dagli stessi che controllano l’intermediazione della domanda e offerta di lavoro (i cosiddetti caporali), in una condizione non diversa da quella della riduzione in schiavitù, o impiegate in attività di servizio, in particolare nella gestione delle cucine e degli spacci che sorgo nei ghetti. Rappresenta un’eccezione il caso il caso degli insediamenti di braccianti bulgari nella capitanata che il più delle volte vedono la presenza di un numero significativo di donne che lavorano come braccianti.
L’esistenza stessa di questi ghetti, la loro contiguità con i luoghi istituzionali in cui lo Stato italiano organizza il sistema di prima accoglienza, a Borgo Mezzanone c’è solo una malandata rete metallica che separa il CARA dal ghetto denominato “la pista”, è tra le più esplicite manifestazioni del razzismo istituzionale italiano e del non rispetto della normativa in materia di lavoro agricolo stagionale, stando alla quale le spese per l’alloggio dei lavoratori dovrebbero essere a carico delle aziende.
I ghetti sono luoghi che esistono da lungo tempo, che si riempiono anche a causa di provvedimenti istituzionali, come è avvenuto con l’emanazione del cosiddetto decreto “sicurezza” che, abolendo il pds per motivi umanitari, ha creato le condizioni di per rendere irregolari e invisibili un numero consistente di cittadini stranieri presenti sul territorio che, in buona parte, sono andati a vivere proprio all’interno dei ghetti.
Un numero che continua a crescere perché ad oggi, nonostante i proclami, il decreto “sicurezza” è ancora una legge dello stato italiano che offende la dignità e oltraggia la stessa vita umana. In molti di coloro i quali sono in questa situazione non potranno regolarizzare la propria posizione giuridica e aspirare a vivere una vita migliore perché il provvedimento da poco varato che avrebbe dovuto permettere ciò è pessimo, un provvedimento non pensato per i diritti delle persone ma per garantire i profitti.
I ghetti agricoli sono luoghi di sospensione dei diritti, diventano visibili alle istituzioni solo quando, con approccio demagogico, ne propongono lo sgombro, senza offrire quasi mai un’alternativa a chi vi abita, o quando avviene un “incidente”, quando divampa un incendio e purtroppo qualcuno perde la vita, come accaduto a Borgo Mezzanone lo scorso 12 giugno a Mohammed Ben Ali, di appena 37 anni. O come era accaduto il 4 febbraio 2020, sempre a Borgo Mezzanone, dove è morta una donna di circa 30 anni, o il 26 aprile 2019, quando è morto Samara Saho che aveva circa 26 anni, o il 6 novembre 2018, quando è morto Bakary Secka, la sua data di nascita non era conosciuta, ma aveva sicuramente meno di 30 anni, o, ancora, il 9 dicembre 2016, quando è morto Ivan Miecoganuchev che aveva 20 anni.
Le cronache dei giornali, nella quasi totalità dei casi, ci hanno detto che Mohammed Ben Ali, Samara Saho, Bakary Secka, Ivan Miecoganuchev, la donna di cui non conosciamo nemmeno il nome, sono morti a causa dei roghi e degli incendi scoppiati. È una parte della verità, l’altra parte, quella di cui non si parla, quella che non trova spazio nelle cronache dei giornali, quella che non si vuole ammettere e che un movimento forte e variegato sta finalmente portando al centro del dibattito pubblico anche nel nostro paese, è che queste persone sono morte a causa del razzismo istituzionale e sociale che attraversa e soffoca il nostro paese.
La violenza razzista in Italia ha oramai una lunga e triste storia, che quasi mai però si è disposti a riconoscere e che anzi si cerca sempre di derubricare ad altro. Una storia che, anche a causa del fatto che non viene riconosciuta ed elaborata, nel corso degli anni si ripete portando con sé una lunga scia di sangue e violazione di diritti.
Violazione di diritti, razzismo, ghetti, sfruttamento, nel nostro paese sono da sempre fortemente intrecciati, lo sono almeno da trent’anni, da quando il 25 agosto del 1989, a Villa Literno, in provincia di Caserta, Jerry Essan Masslo, fu colpito a morte con tre colpi di pistola nel capannone dove dormiva perché si rifiutò di consegnare ad una banda di balordi il denaro che aveva faticosamente messo da parte raccogliendo pomodori per tre lunghi mesi.
Masslo aveva 30 anni quando è morto, era un esule sudafricano, impegnato nella lotta contro il regime di apartheid, scappato in Italia perché nel suo paese rischiava la vita e tuttavia dal nostro paese non era stato riconosciuto come rifugiato politico perché all’epoca l’Italia aderiva alla Convenzione di Ginevra con una riserva geografica. All’assassinio di Maslo seguì la prima grande manifestazione nazionale antirazzista italiana. Il corteo che sfilò per le strade di Roma fu aperto da una delegazione di braccianti stranieri di Villa Literno. Fu quella manifestazione che portò all’approvazione della legge n. 39 del 1990.
Chi oggi scende in piazza al grido di Black Lives Matter, si riconnette con quella storia, ritesse i fili della lotta al razzismo in Italia. Chi oggi scende in piazza al grido Black Lives Matter lo fa per costruire una società più giusta ed equa. Forse è finalmente giunto il momento di iniziare anche in Italia a interrogarci su quanto il razzismo condizioni la nostra società, le nostre istituzioni, le nostre leggi e par farlo non possiamo che partire da quello che è successo in questi ultimi quarant’anni e dall’esperienza chi ha vissuto e vive sulla propria pelle l’esperienza del razzismo e della discriminazione.

sabato 13 giugno 2020

Morire di razzismo in Italia. È successo nuovamente ieri




A Borgo Mezzanone (Fg) attualmente vivono circa 1500 persone. Vivono in baraccopoli più o meno contigue ai luoghi istituzionali (CARA) in cui il nostro paese ha deciso di organizzare la prima (indegna) accoglienza di chi è costretto alla migrazione dalla ferocia dell’economia e dalle guerre.

A Borgo Mezzanone vivono molte delle persone divenute invisibili a causa dell’ignobile decreto sicurezza bis che, nonostante i proclami, è ancora una legge dello stato italiano che offende la dignità e oltraggia la stessa vita umana.

A Borgo Mezzanone, la quasi totalità di chi vive nel CARA e nei “ghetti” è costretto, da un meccanismo perverso alla cui esistenza concorre la legislazione italiana ed europea in materia di migrazione e asilo (leggasi trattato di Dublino e sistema di accoglienza italiano), a forme di sfruttamento lavorativo feroce che produce un quota consistente del nostro PIL nazionale (l’Italia è il secondo produttore al mondo di pomodoro da trasformazione e la provincia di Foggia concentrare quasi l’80% della produzione italiana di pomodoro da trasformazione).  

A Borgo Mezzanone vivono tante persone che non potranno regolarizzare la propria posizione giuridica e aspirare a vivere una vita migliore perché il provvedimento da poco varato che avrebbe dovuto permettere ciò è pessimo, un provvedimento non pensato per i diritti delle persone ma per garantire i profitti.

A Borgo Mezzanone, ieri è morto Mohammed Ben Ali, aveva 37 anni.

A Borgo Mezzanone, il 4 febbraio 2020 è morta una donna di circa 30 anni.

A Borgo Mezzanone, il 26 aprile 2019 è morto Samara Saho, aveva circa 26 anni.

A Borgo Mezzanone, il 6 novembre 2018 è morto Bakary Secka, la sua data di nascita non era conosciuta, ma aveva sicuramente meno di 30 anni.

A Borgo Mezzanone, il 9 dicembre 2016 è morto Ivan Miecoganuchev, aveva 20 anni.

Le cronache dei giornali, nella quasi totalità dei casi, ci hanno detto che Mohammed Ben Ali, Samara Saho, Bakary Secka, Ivan Miecoganuchev, la donna di cui non conosciamo nemmeno il nome, sono morti a causa dei roghi e degli incendi scoppiatiti. È una parte di verità, l’altra parte, quella di cui non si parla, quella che non trova spazio nelle cronache dei giornali, quella che non si vuole ammettere e che un movimento forte e varieggiato sta finalmente portando al centro del dibattito pubblico anche nel nostro paese, è che queste persone sono morte a causa del razzismo istituzionale e sociale che attraversa e soffoca il nostro paese.  

martedì 18 luglio 2017

Processo Sabr, in Italia esiste la schiavitù!

(Giovani lavoratori sulla strada verso il "ghetto" - ph. I. Papa)


di Antonio Ciniero


già pubblicato in sbilanciamoci.info


In Italia ci sono uomini ridotti in schiavitù. Parte del lavoro agricolo stagionale del nostro paese, quello che fa crescere il nostro PIL, che permette l’esportazione e il consumo dei prodotti del made in Italy sulle tavole nostre e su quelle di mezza Europa, si basa anche su un lavoro “schiavile”. A sostenerlo non è uno dei tanti allarmi lanciati da qualche inchiesta giornalistica, non è la presa di posizione di una ONG o sigla sindacale. La riduzione in schiavitù è stata contesta come reato a 11 imputati dalla sentenza pronunciata il 13 luglio scorso dai giudici della Corte di Assise del Tribunale di Lecce nel processo nato dall’inchiesta denominata Sabr, dal nome di uno dei caporali che organizzava buona parte del lavoro agricolo stagionale nel territorio di Nardò, in provincia di Lecce.

mercoledì 12 ottobre 2016

Oltre il campo sosta e il ghetto: due esperienze di ricerca etnografica e visuale nel Salento




di Antonio Ciniero* e Ilaria Papa**

Ahmet -  Fonte: fermo-immagine tratto dal documentario in lavorazione sul lavoro braccintile    

Articolo pubblicato in Mondi Migranti, n. 2/2016 

Introduzione

L’articolo[1] presenta alcune riflessioni sul rapporto tra metodologie visuali e studi migratori. Si tratta di considerazioni sviluppate a partire dall’esperienza maturata nell’ambito di due indagini sociologiche: la prima, realizzata tra il 2008 e il 2011, ha coinvolto un gruppo di cittadini rom alloggiati nel campo sosta Panareo di Lecce; la seconda, iniziata nella primavera del 2015 e tuttora in corso, alcuni braccianti impegnati nella raccolta stagionale agricola che ha il suo epicentro nella cittadina di Nardò (Le). Le indagini riprendono, e in qualche modo continuano, un percorso di ricerca, ispirato ai principi metodologici dell’action-research (Lewin, 1946; Lapassade, 1991; Barbier, 2007), iniziato sul finire degli anni Ottanta, nel caso dei cittadini rom, e nei primi anni Novanta, per i braccianti, dal gruppo di ricerca in parte confluito nell’International Center of Interdisciplinary Studies on Migration (Icismi) dell’Università del Salento.  
Allora come oggi, ci si è confrontati con gruppi di cittadini di origine straniera inseriti in una condizione di forte marginalità sociale, la cui presenza sul territorio, nel corso di trent’anni, è stata gestita dalle istituzioni locali come una perenne emergenza, da non mostrare all’opinione pubblica, se non secondo sperimentati copioni narrativi in cui, media, da una parte, e attori politici ed economici dall’altra, hanno costruito e veicolato un’immagine semplicistica e stereotipata dei due contesti e dei soggetti che li abitano.

lunedì 5 settembre 2016

SFRUTTATI, ESCLUSI E COMPLETAMENTE ABBANDONATI DALLE ISTITUZIONI: BRACCIANTI ROM A BORGO MEZZANONE

Antonio Ciniero


Ph. Ilaria Papa 




Siamo un territorio di frontiera, non ci manca nulla qui: Cara, “Pista”, ghetti, disagio sociale…siamo la periferia della periferia…

Sono le parole di una volontaria della Caritas di Borgo Mezzanone, frazione di Manfredonia, appena 10 km da Foggia. Oggi è una delle tappe obbligate delle traiettorie del lavoro agricolo in Puglia. 
Sul piccolo territorio di questo borgo rurale è localizzato un CARA[1], con una capienza di oltre 600 posti, punto di arrivo dei bus turistici che portano, scortati dalle auto dei carabinieri, centinaia di giovani migranti che - in moltissimi casi - trovano lavoro nei campi. Alle spalle dal CARA, sulla pista, lunga circa 3 km, di un ex aeroporto militare, una cinquantina di container, più svariate tende e baracche, in cui trovano rifugio, in questo periodo di raccolta, non meno di 800/900 persone provenienti da diverse zone del continente africano: Sudan, Guinea, Mali, Nigeria, Somalia, Costa d’Avorio, Burkina Faso, Togo e Senegal, le provenienze maggioritarie[2]. Ci sono poi diversi casolari, più o meno diroccati, riparati con materiali di recupero, e altri “micro-ghetti” che offrono precario riparo ad altri lavoratori delle campagne della Capitanata e del Nord barese.

Luoghi che costringono la vita di chi li abita ad una marginalità estrema. Tra questi, c’è una baraccopoli che più di tutti gli altri sembra catapultare chi vi giunge molto lontano, in altre epoche o in altre latitudini. Questo posto invisibile e tuttavia ben evidente dalla strada statale, sorge su un terreno privato con il perimetro delimitato da pali, un traliccio dell’alta tensione e da alcune pale eoliche. Non è contiguo ai vicini luoghi dell’esclusione: tutto intorno, solo distese di terra a perdita d’occhio. A un lato della baraccopoli, un grande fossato - in passato utilizzato come vascone per l’irrigazione - è stato trasformato in una discarica a cielo aperto dove sono conferiti i rifiuti che nessun servizio d’igiene pubblica smaltisce.

sabato 18 giugno 2016

Oltre il caporalato, lo sfruttamento


(Giovani lavoratori sulla strada verso il "ghetto" - ph. I. Papa)





pubblicato in sbilinfo

Antonio Ciniero

Dopo lo sciopero del 2011 dei braccianti agricoli alloggiati nel campo di Boncuri (Nardò - Le), in Italia è tornato a riaprirsi un dibattito pubblico sul tema del lavoro in agricoltura, soprattutto di quello stagionale; aspetto sicuramente positivo ma che rischia di avere tra le altre conseguenze quella di ridurre la complessità del tema trattato, selezionando e proponendo alla discussione pubblica solo alcuni aspetti del fenomeno e in questo modo favorendo la diffusione di un’immagine molto parziale della questione: è il caso di quanto sta avvenendo rispetto alla tematizzazione del rapporto intercorrente tra caporalato e sfruttamento lavorativo. Una tematizzazione che rischia di avere ricadute politiche, economiche e sociali non indifferenti.
Dal 2012 ad oggi, molte sono state le inchieste giornalistiche, le analisi socio-economiche, le pubblicazioni che hanno affrontato la questione del lavoro agricolo con un approccio che ha finito per far coincidere, per lo meno nell’immaginario pubblico, il fenomeno del caporalato con quello dello sfruttamento lavorativo in agricoltura. E questo non solo in abito giornalistico, ma anche in parte della pubblicistica specialistica dedicata al tema e, soprattutto, nel dibattito politico ed istituzionale che di fatto negli ultimi anni si è limitato a discutere di interventi - tra l’altro ancora lontani dall’essere approvati - volti al solo contrasto del caporalato.

giovedì 9 giugno 2016

Jerry è morto per colpa di balordi, Mohamed perché faceva caldo e Sekine per legittima difesa…


Antonio Ciniero

Il 25 agosto del 1989, a Villa Literno, in provincia di Caserta, Jerry Masslo, fu colpito a morte con tre colpi di pistola nel capannone dove dormiva perché rifiutò di consegnare ad una banda di balordi il denaro che aveva faticosamente messo da parte raccogliendo pomodori per tre lunghi mesi. Masslo aveva 30 anni quando è morto, era un esule sudafricano, impegnato nella lotta contro il regime di apartheid, scappato in Italia perché nel suo paese rischiava la vita e tuttavia nel nostro paese non fu riconosciuto rifugiato politico per via della riserva geografica, allora in vigore, con la quale l’Italia aveva sottoscritto la Convenzione di Ginevra.  
Il 20 luglio dell’anno scorso, Abdullah Mohamed, cittadino sudanese, riconosciuto rifugiato politico dall’Italia, muore a soli 47 anni mentre raccoglie pomodori in un campo del Salento, non ha un contratto per quel lavoro, è arrivato a Nardò solo un paio di giorni prima della sua morte, dormiva nei campi, all’interno del ghetto di Nardò.  
L’8 giugno 2016, Sekine Triore, 26 anni, proveniente dal Mali, muore nella tendopoli di San Ferdinando, alle porte di Rosarno in Calabria.  
Può sembrare azzardando mettere in relazione queste tre morti? Forse sì, ma non si possono non tenere in considerazione alcuni elementi che le accomunano …  

sabato 23 gennaio 2016

Migranti e lavoro bracciantile tra sfruttamento e disinteresse istituzionale: il caso di Nardò

Antonio Ciniero


Nardò, 2015 (ph. Ilaria Papa)

pubblicato in sbilanciamocinfo

L’agro centro-meridionale della provincia di Lecce, e in particolare la cittadina di Nardò, rappresenta ormai da oltre vent’anni un tassello importante ed emblematico delle dinamiche politiche, sociali ed economiche che attraversano e danno forma al lavoro agricolo stagionale nella gran parte dei paesi dell’aria euro-mediterranea. Le condizioni di vita e di lavoro dei braccianti in questa zona, sebbene da più parti deprecate, sembrano essere immutabili. Pochi sono gli elementi che si sono modificati nel corso degli anni, tra questi, la composizione sociale dei braccianti avvicendatesi sul territorio e che discende, a sua volta, essenzialmente, da tre fattori: quelli produttivi (il cambio della tipologia dei prodotti agricoli coltivati e la modificazione degli ettari coltura destinati alla coltivazione, che ha richiamato un numero maggiore di manodopera); quelli economici più generali (la crisi degli ultimi anni e i licenziamenti a essa connessi, che hanno spinto verso il settore agricolo soggetti prima impiegati nel settore industriale e in quello dei servizi, di sovente nelle città del centro-nord Italia); e, ancora, quelli legati ai cambiamenti intervenuti sul versante delle dinamiche migratorie, soprattutto dal 2011, quando – a seguito delle cosiddette primavere arabe e dell’intervento armato in Libia – è mutato il panorama degli arrivi e delle presenze dei cittadini stranieri sul territorio dove è aumentato il numero dei cittadini richiedenti asilo e/o protezione umanitaria che, anche in conseguenza delle politiche e delle modalità di accoglienza loro riservate, sono divenuti un importante bacino di reclutamento di manodopera per la raccolta stagionale.

martedì 1 dicembre 2015

Crisi economica e lotte autorganizzate. Lavoro, sciopero ed esclusione dei braccianti a Nardò (2011-2015)

Antonio Ciniero*


Articolo pubblicato in Sociologia del Lavoro, n.140, 2015


Il lavoro bracciantile in provincia di Lecce tra vuoto istituzionale e caporalato

L’agro centro-meridionale della provincia di Lecce rappresenta ormai da oltre vent’anni un tassello importante ed esemplificativo delle dinamiche politiche, sociali ed economiche che attraversano e danno forma al lavoro agricolo stagionale nella gran parte dei paesi dell’aria euro-mediterranea. Sin dagli inizi degli anni Novanta, a Nardò, nel periodo che va da giugno a settembre, centinaia d’immigrati, provenienti per lo più dal continente africano, prendono parte all’attività di raccolta di prodotti agricoli, principalmente angurie e pomodori, in quella che è divenuta una consuetudine conosciuta, in molti casi deprecata a causa delle condizioni di vita in cui sono costretti i lavoratori, ma, a quel che sembra, immutabile. A mutare, lungo il corso del tempo, è solo la composizione sociale dei braccianti avvicendatisi in conseguenza al modificarsi di diversi fattori: quelli più immediatamente produttivi (il cambio della tipologia dei prodotti agricoli coltivati e la modificazione degli ettari coltura destinati alla coltivazione), quelli economici più generali (la crisi degli ultimi anni, i licenziamenti ad essa connessi, le politiche pubbliche ispirate ai dettami dell’austerity e la stagnazione economica) e, ancora, quelli legati ai cambiamenti intervenuti sul versante delle dinamiche migratorie, soprattutto dal 2011, quando – a seguito delle cosiddette primavere arabe e dell’intervento armato in Libia – è mutato il panorama degli arrivi e delle presenze di cittadini stranieri sul territorio. Da quell’anno, infatti, si è registrato un aumento costante di cittadini richiedenti asilo e/o protezione umanitaria che, anche in conseguenza delle politiche e delle modalità di accoglienza loro riservate (Cfr. Ciniero 2014), sono divenuti un bacino di reclutamento di manodopera.