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lunedì 25 agosto 2025

Jerry Essan Maslo. Una storia italiana

 


di Antonio Ciniero

La notte tra il 24 e il 25 agosto veniva assassinato Jerry Essan Maslo. 

Alla vicenda di Masslo, le teche rai hanno dedicato uno spazio che raccoglie interviste e spezzoni di programmi dell’epoca che parlarono della vicenda. Il titolo è infelice “La guerra di Masslo” (Masslo non ha fatto una guerra, semmai la guerra è stata fatta a Masslo e ai tanti che hanno provato a costruire un futuro lontano dal posto in cui sono nati da leggi ingiuste e liberticide), ma i materiali sono interessanti. 

Se avrete la pazienza di vederli e ascoltarli vi sembrerà di vivere un déjà vu, oltre che la storia Masslo, dell’Italia di quell’epoca, vedrete molto di quello che ancora oggi accade. 


Qui il link al sito della rai

sabato 11 dicembre 2021

A proposito dell’inchiesta del tribunale di Foggia sull’ennesimo caso di caporalato "scoperto"

 



di Antonio Ciniero

Il lavoro agricolo, soprattutto quello stagionale, si situa al centro delle innumerevoli contraddizioni che caratterizzano la nostra epoca. In esso si sommano e radicalizzano dinamiche che investono oggi i mercati del lavoro e, più in generale, i sistemi produttivi dei paesi capitalistici avanzati. Tra le principali contraddizioni, ci sono quelle relative ai processi di precarizzazione della condizione lavorativa, con il conseguente depauperamento del potere contrattuale dei lavoratori  (specie della forza lavoro migrante); quelle relative alle ricadute socio-economiche delle politiche migratorie, con le quali - sia a livello internazionale che nazionale - si disciplinano i movimenti migratori; quelle relative ai processi di esclusione sociale, determinati dall’invisibilità agli occhi dell’opinione pubblica dei ghetti nei quali i lavoratori svolgono buona parte della loro vita; quelle innescate dalla peculiarità delle filiere produttive e dei processi distributivi dei prodotti agricoli. Tutte queste contraddizioni contribuiscono a fare del lavoro agricolo, soprattutto dopo la crisi economica del 2008, un settore di ripiego, nel quale trova occupazione, quasi esclusivamente, forza lavoro senza altra alternativa occupazionale. 

A queste, come ha messo in luce nuovamente l’ultima inchiesta del Tribunale di Foggia, si sommano quelle dei poteri tradizionali del notabilato locale, di chi può contare sull’arroganza del potere, un potere che, deve essere riconosciuto, inizia a scricchiolare anche grazie al lavoro della magistratura e di strumenti operativi che sempre più spesso si riescono ad avviare. Sono strumenti importanti, che nel nostro ordinamento sono stati introdotti grazie anche alle lotte dei lavoratori, come quella dei braccianti di Nardò che nel 2011, per primi, dopo lunghi anni, diedero vita ad uno sciopero memorabile. Sono state le lotte di quei lavoratori che hanno avuto il merito di riportare al centro del dibattito pubblico il tema dello sfruttamento lavorativo in agricoltura facilitato dal meccanismo del caporalato. 

Dopo quello sciopero tanta strada è stata fatta, ma tanta ne resta ancora da compiere. Se sul piano contrasto penale dello sfruttamento molto si è mosso (legge 199/2016), se sul piano degli interventi istituzionali tanto si sta facendo, sia a livello nazionale che regionale (l’adozione del Piano nazionale per il contrasto dello sfruttamento lavorativo e del caporalato, i programmi e le progettualità complesse per il superamento dello sfruttamento lavorativo e del caporalato in agricoltura, non casualmente l’inchiesta che porta oggi alla luce l’ennesimo caso di caporalato nel territorio foggiano è frutto dei controlli che nel territorio sono stati attivanti anche all’interno del programma Su.Pr.Eme Italia), sul piano della difesa e del potenziamento dei diritti dei lavoratori agricoli, come di tutti gli altri lavoratori, bisogna ancora lavorare molto… d’altro canto, il lavoro, i diritti dei lavoratori, e non solo dei lavoratori stagionali, sono oggetto di continuo attacco delle politiche neoliberiste da oltre un trentennio, emblema di una lotta di classe combattuta dall’alto, come ebbe a dire il compianto Luciano Gallino.

Quanto avviene nelle campagne foggiane, le condizioni di sfruttamento dei lavoratori e le commistioni tra i diversi poteri che condizionano il lavoro agricolo, e che questa inchiesta ha riportato nuovamente alla ribalta, non sono un retaggio del passato che resiste alla modernità che avanza, sono anzi tra gli esempi più emblematici di quello che gli studiosi chiamano da tempo “modello californiano della produzione agricola”: un modello di produzione dove innovazione tecnologia e forme di grave sfruttamento non solo convivono, ma si alimentano vicendevolmente. 

Se questo è lo scenario, non è difficile capire perché - come raccontato dalle centinaia di persone incontrate nel corso degli ultimi dieci anni - il lavoro agricolo stagionale sia divenuto sempre più una gabbia dalla quale è difficile uscire…




martedì 18 luglio 2017

Processo Sabr, in Italia esiste la schiavitù!

(Giovani lavoratori sulla strada verso il "ghetto" - ph. I. Papa)


di Antonio Ciniero


già pubblicato in sbilanciamoci.info


In Italia ci sono uomini ridotti in schiavitù. Parte del lavoro agricolo stagionale del nostro paese, quello che fa crescere il nostro PIL, che permette l’esportazione e il consumo dei prodotti del made in Italy sulle tavole nostre e su quelle di mezza Europa, si basa anche su un lavoro “schiavile”. A sostenerlo non è uno dei tanti allarmi lanciati da qualche inchiesta giornalistica, non è la presa di posizione di una ONG o sigla sindacale. La riduzione in schiavitù è stata contesta come reato a 11 imputati dalla sentenza pronunciata il 13 luglio scorso dai giudici della Corte di Assise del Tribunale di Lecce nel processo nato dall’inchiesta denominata Sabr, dal nome di uno dei caporali che organizzava buona parte del lavoro agricolo stagionale nel territorio di Nardò, in provincia di Lecce.

lunedì 5 settembre 2016

SFRUTTATI, ESCLUSI E COMPLETAMENTE ABBANDONATI DALLE ISTITUZIONI: BRACCIANTI ROM A BORGO MEZZANONE

Antonio Ciniero


Ph. Ilaria Papa 




Siamo un territorio di frontiera, non ci manca nulla qui: Cara, “Pista”, ghetti, disagio sociale…siamo la periferia della periferia…

Sono le parole di una volontaria della Caritas di Borgo Mezzanone, frazione di Manfredonia, appena 10 km da Foggia. Oggi è una delle tappe obbligate delle traiettorie del lavoro agricolo in Puglia. 
Sul piccolo territorio di questo borgo rurale è localizzato un CARA[1], con una capienza di oltre 600 posti, punto di arrivo dei bus turistici che portano, scortati dalle auto dei carabinieri, centinaia di giovani migranti che - in moltissimi casi - trovano lavoro nei campi. Alle spalle dal CARA, sulla pista, lunga circa 3 km, di un ex aeroporto militare, una cinquantina di container, più svariate tende e baracche, in cui trovano rifugio, in questo periodo di raccolta, non meno di 800/900 persone provenienti da diverse zone del continente africano: Sudan, Guinea, Mali, Nigeria, Somalia, Costa d’Avorio, Burkina Faso, Togo e Senegal, le provenienze maggioritarie[2]. Ci sono poi diversi casolari, più o meno diroccati, riparati con materiali di recupero, e altri “micro-ghetti” che offrono precario riparo ad altri lavoratori delle campagne della Capitanata e del Nord barese.

Luoghi che costringono la vita di chi li abita ad una marginalità estrema. Tra questi, c’è una baraccopoli che più di tutti gli altri sembra catapultare chi vi giunge molto lontano, in altre epoche o in altre latitudini. Questo posto invisibile e tuttavia ben evidente dalla strada statale, sorge su un terreno privato con il perimetro delimitato da pali, un traliccio dell’alta tensione e da alcune pale eoliche. Non è contiguo ai vicini luoghi dell’esclusione: tutto intorno, solo distese di terra a perdita d’occhio. A un lato della baraccopoli, un grande fossato - in passato utilizzato come vascone per l’irrigazione - è stato trasformato in una discarica a cielo aperto dove sono conferiti i rifiuti che nessun servizio d’igiene pubblica smaltisce.

sabato 18 giugno 2016

Oltre il caporalato, lo sfruttamento


(Giovani lavoratori sulla strada verso il "ghetto" - ph. I. Papa)





pubblicato in sbilinfo

Antonio Ciniero

Dopo lo sciopero del 2011 dei braccianti agricoli alloggiati nel campo di Boncuri (Nardò - Le), in Italia è tornato a riaprirsi un dibattito pubblico sul tema del lavoro in agricoltura, soprattutto di quello stagionale; aspetto sicuramente positivo ma che rischia di avere tra le altre conseguenze quella di ridurre la complessità del tema trattato, selezionando e proponendo alla discussione pubblica solo alcuni aspetti del fenomeno e in questo modo favorendo la diffusione di un’immagine molto parziale della questione: è il caso di quanto sta avvenendo rispetto alla tematizzazione del rapporto intercorrente tra caporalato e sfruttamento lavorativo. Una tematizzazione che rischia di avere ricadute politiche, economiche e sociali non indifferenti.
Dal 2012 ad oggi, molte sono state le inchieste giornalistiche, le analisi socio-economiche, le pubblicazioni che hanno affrontato la questione del lavoro agricolo con un approccio che ha finito per far coincidere, per lo meno nell’immaginario pubblico, il fenomeno del caporalato con quello dello sfruttamento lavorativo in agricoltura. E questo non solo in abito giornalistico, ma anche in parte della pubblicistica specialistica dedicata al tema e, soprattutto, nel dibattito politico ed istituzionale che di fatto negli ultimi anni si è limitato a discutere di interventi - tra l’altro ancora lontani dall’essere approvati - volti al solo contrasto del caporalato.

giovedì 9 giugno 2016

Jerry è morto per colpa di balordi, Mohamed perché faceva caldo e Sekine per legittima difesa…


Antonio Ciniero

Il 25 agosto del 1989, a Villa Literno, in provincia di Caserta, Jerry Masslo, fu colpito a morte con tre colpi di pistola nel capannone dove dormiva perché rifiutò di consegnare ad una banda di balordi il denaro che aveva faticosamente messo da parte raccogliendo pomodori per tre lunghi mesi. Masslo aveva 30 anni quando è morto, era un esule sudafricano, impegnato nella lotta contro il regime di apartheid, scappato in Italia perché nel suo paese rischiava la vita e tuttavia nel nostro paese non fu riconosciuto rifugiato politico per via della riserva geografica, allora in vigore, con la quale l’Italia aveva sottoscritto la Convenzione di Ginevra.  
Il 20 luglio dell’anno scorso, Abdullah Mohamed, cittadino sudanese, riconosciuto rifugiato politico dall’Italia, muore a soli 47 anni mentre raccoglie pomodori in un campo del Salento, non ha un contratto per quel lavoro, è arrivato a Nardò solo un paio di giorni prima della sua morte, dormiva nei campi, all’interno del ghetto di Nardò.  
L’8 giugno 2016, Sekine Triore, 26 anni, proveniente dal Mali, muore nella tendopoli di San Ferdinando, alle porte di Rosarno in Calabria.  
Può sembrare azzardando mettere in relazione queste tre morti? Forse sì, ma non si possono non tenere in considerazione alcuni elementi che le accomunano …  

sabato 23 gennaio 2016

Migranti e lavoro bracciantile tra sfruttamento e disinteresse istituzionale: il caso di Nardò

Antonio Ciniero


Nardò, 2015 (ph. Ilaria Papa)

pubblicato in sbilanciamocinfo

L’agro centro-meridionale della provincia di Lecce, e in particolare la cittadina di Nardò, rappresenta ormai da oltre vent’anni un tassello importante ed emblematico delle dinamiche politiche, sociali ed economiche che attraversano e danno forma al lavoro agricolo stagionale nella gran parte dei paesi dell’aria euro-mediterranea. Le condizioni di vita e di lavoro dei braccianti in questa zona, sebbene da più parti deprecate, sembrano essere immutabili. Pochi sono gli elementi che si sono modificati nel corso degli anni, tra questi, la composizione sociale dei braccianti avvicendatesi sul territorio e che discende, a sua volta, essenzialmente, da tre fattori: quelli produttivi (il cambio della tipologia dei prodotti agricoli coltivati e la modificazione degli ettari coltura destinati alla coltivazione, che ha richiamato un numero maggiore di manodopera); quelli economici più generali (la crisi degli ultimi anni e i licenziamenti a essa connessi, che hanno spinto verso il settore agricolo soggetti prima impiegati nel settore industriale e in quello dei servizi, di sovente nelle città del centro-nord Italia); e, ancora, quelli legati ai cambiamenti intervenuti sul versante delle dinamiche migratorie, soprattutto dal 2011, quando – a seguito delle cosiddette primavere arabe e dell’intervento armato in Libia – è mutato il panorama degli arrivi e delle presenze dei cittadini stranieri sul territorio dove è aumentato il numero dei cittadini richiedenti asilo e/o protezione umanitaria che, anche in conseguenza delle politiche e delle modalità di accoglienza loro riservate, sono divenuti un importante bacino di reclutamento di manodopera per la raccolta stagionale.

martedì 1 dicembre 2015

Crisi economica e lotte autorganizzate. Lavoro, sciopero ed esclusione dei braccianti a Nardò (2011-2015)

Antonio Ciniero*


Articolo pubblicato in Sociologia del Lavoro, n.140, 2015


Il lavoro bracciantile in provincia di Lecce tra vuoto istituzionale e caporalato

L’agro centro-meridionale della provincia di Lecce rappresenta ormai da oltre vent’anni un tassello importante ed esemplificativo delle dinamiche politiche, sociali ed economiche che attraversano e danno forma al lavoro agricolo stagionale nella gran parte dei paesi dell’aria euro-mediterranea. Sin dagli inizi degli anni Novanta, a Nardò, nel periodo che va da giugno a settembre, centinaia d’immigrati, provenienti per lo più dal continente africano, prendono parte all’attività di raccolta di prodotti agricoli, principalmente angurie e pomodori, in quella che è divenuta una consuetudine conosciuta, in molti casi deprecata a causa delle condizioni di vita in cui sono costretti i lavoratori, ma, a quel che sembra, immutabile. A mutare, lungo il corso del tempo, è solo la composizione sociale dei braccianti avvicendatisi in conseguenza al modificarsi di diversi fattori: quelli più immediatamente produttivi (il cambio della tipologia dei prodotti agricoli coltivati e la modificazione degli ettari coltura destinati alla coltivazione), quelli economici più generali (la crisi degli ultimi anni, i licenziamenti ad essa connessi, le politiche pubbliche ispirate ai dettami dell’austerity e la stagnazione economica) e, ancora, quelli legati ai cambiamenti intervenuti sul versante delle dinamiche migratorie, soprattutto dal 2011, quando – a seguito delle cosiddette primavere arabe e dell’intervento armato in Libia – è mutato il panorama degli arrivi e delle presenze di cittadini stranieri sul territorio. Da quell’anno, infatti, si è registrato un aumento costante di cittadini richiedenti asilo e/o protezione umanitaria che, anche in conseguenza delle politiche e delle modalità di accoglienza loro riservate (Cfr. Ciniero 2014), sono divenuti un bacino di reclutamento di manodopera.