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giovedì 29 settembre 2022

Reddito di cittadinanza “miti propagandistici” Vs dati reali




di Antonio Ciniero

Il Reddito di Cittadinanza pare essere diventata la causa principale dei problemi del paese, sono mesi che il tema tiene banco nel dibattito pubblico. Peccato però che nel dibattito trovino spazio solo le considerazioni e le opinioni di coloro che le propongono. Ognuno ha un amico imprenditore che non può assumere per colpa del RdC, ognuno conosce chi lavora in nero per propria scelta per continuare a percepire RdC, ognuno conosce qualcuno che rifiuta il lavoro proposto per continuare a percepire comodamente sul divano il RdC. Senza nulla togliere alla percezione individuale degli illustri signori e delle illustri signore che affollano il dibattito politico nostrano, penso che uno sguardo ai dati possa aiutare a proporre ragionamenti, se non più equilibrati, quantomeno maggiormente ancorati alla realtà. 

In due anni, tra il 2019 e il 2020, le truffe accertate da Carabinieri e Guardia di finanza hanno riguardato 174 milioni circa su una spesa complessiva di 15 miliardi circa, vale a dire l’1% del totale. 

Secondo un report di febbraio 2022 dell’istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche: il Reddito di cittadinanza ha rappresentato un’ancora di salvezza per 1,8 milioni di famiglie.  Inoltre, il report, sottolinea che circa il 46% dei percettori risultano occupati (552.666 standard e 279.290 precari) con impieghi tali da non consentir loro di emergere dal disagio e da costringerli a ricorrere al RdC per la sussistenza. Si tratta quindi dei cosiddetti “working poors”, lavoratori poveri, quello che può apparire un ossimoro è, invece, sempre più una triste realtà, conseguenza dalle politiche economiche neoliberiste, e, tra l’altro, sempre più in crescita nel nostro paese, come ci ricordano annualmente i report dell’Istat dedicati all’analisi della povertà in Italia. 

Rispetto a chi ha rifiutato i lavori proposti, altro mito cavalcato da chi vorrebbe abolire il RdC, i motivi rilevati nel rapporto su menzionato da coloro che hanno declinato l’offerta proposta sono stati i seguenti: nel 53,6% l’offerta è stata rifiutata perchè non in linea con le competenze possedute, nel 24,5% perché non in linea con il proprio titolo di studio, nell’11,9% per una retribuzione troppo bassa. Solo il 7,9% di coloro che hanno rifiutato l’offerta lavorativa ha indicato la necessità di spostarsi come causa prevalente del rifiuto.

Il RdC è uno strumento che sicuramente si può migliorare, per farlo però non bastano proclami propagandistici, serve un approccio serio. Guardare ai dati è un primo passo.  

Più in generale però, bisognerebbe lavorare per invertire le dinamiche economiche che favoriscono i processi di impoverimento che riguardano fasce sempre più ampie di popolazione. Detto in altri termini, per contrastare i processi di impoverimento servono politiche di redistribuzione della ricchezza, serve mettere al centro dell’azione politica il lavoro e la tutela dei diritti del lavoro invertendo la tendenza dell’ultimo quarantennio che, mortificando lavoro e diritti del lavoro, ci ha portato alla situazione attuale.  




lunedì 17 agosto 2020

Alcune brevi considerazioni a caldo rispetto ai dati sulla “mancata regolarizzazione” diffusi dal ministero dell’Interno

 


i dati sono consultabili qui 


207.542 sono le domande presentate, molto al di sotto delle stime fate negli anni che parlano di un numero di irregolari compreso in una forbice che va dalle 400 mila alle 600 mila unità. Sicuramente escludere settori come quello della logistica o dell’edilizia ha inciso negativamente sul numero delle emersioni. Più in generale, però, c’è da constatare che è fallimentare (oltre che cinicamente utilitaristico e riduzionista) l’idea di legare la possibilità di emersione dalla condizione di irregolarità amministrativa al possesso di un contratto di lavoro, specie in un periodo di emergenza sanitaria come quello che stiamo vivendo.  

 

L’85% (176.848) delle domande presentate ha riguardato il settore del lavoro domestico. Si tratta, soprattutto, di collaboratori famigliari (oltre 122 mila domande) e assistenti a persone disabili e/o non autosufficienti (oltre 50 mila domande). Insomma, stando a questi dati, i pericolosi clandestini di cui parla la propaganda razzista e xenofoba, lontani dall’essere persone che vivono nel buio pronti a commettere chi sa quali delitti, sono persone che con il loro lavoro sostengono le famiglie a cui il nostro sistema di welfare, martoriato negli ultimi trent’anni da politiche liberiste, non riesce a garantire l’assistenza e il sostegno di cui avrebbero bisogno!

 

Le domande per la regolarizzazione di persone che avevano lavorato o stanno lavorando in nero nel settore agricolo, sono state meno di 30 mila (29.555), molto al di sotto delle 150 mila che le organizzazioni datoriali si aspettavano. Anche questo dato non sorprende. Il problema del settore agricolo, specie di quello stagionale, non è tanto legato al fatto che chi vi lavori non abbia un documento regolare di soggiorno, quanto al fatto che nel settore agricolo stagionale incide in maniera pesante il lavoro nero e grigio. Detto altrimenti, il problema non è tanto che i migranti non abbiano i documenti in regola per soggiornare, quanto il fatto che una quota rilevante di datori di lavoro non assume in maniera regolare i lavoratori, stranieri o italiani che siano!

 

Rispetto alla distribuzione geografica delle domande, la maggior parte ha riguardato le regioni del centro-nord Italia (Lombardia, Emilia Romagna, Lazio) e le aree metropolitane (Milano, Napoli, Roma), quelle che normalmente attraggono il maggior numero di cittadini stranieri perché offrono maggiori opportunità di lavoro. I migranti che diventano irregolari, principalmente a causa delle storture legislative, non vivono nei “ghetti”, ma nelle città dove lavorano e vivono da decenni. Spesso non sono visibili, non perché vogliano nascondersi, ma perché, per lavorare, si svegliano quando ancora le “città dormono” oppure il loro lavoro invisibile sostiene il lavoro visbile delle marche che fanno “grande il made in Italy” o ancora lavorano nelle cucine dei rinomati ristoranti stellati…  Interessante e incontro tendenza appare il dato della campagna, sparatutto quello delle provincie non metropolitane (Caserta, Salerno) che registrano un numero significativo di domande presentate.

 

Rispetto alle cittadinanze di coloro che hanno presentato domanda, per quanto riguarda il lavoro domestico, le principali aree geografiche di provenienza sono: Ucraina, Bangladesh, Pakistan, Georgia, Marocco, Perù, Albania, Cina, India, Egitto; per quanto riguarda il lavoro agricolo sono: Albania, Marocco, India, Pakistan, Bangladesh, Tunisia, Senegal, Egitto.

Anche in questo caso, salta una delle retoriche più amate dai razzisti del bel paese, quella secondo la quale i clandestini sarebbero “i palestrati appena sbarcati con tanto di smartphone …”. Come è possibile vedere, ad essere costretti all’irregolarità, sono nella maggior parte dei casi soggetti che appartengono a gruppi nazionali di antico insediamento sul territorio italiano, soggetti che diventano irregolari, magari perché, dopo decenni di presenza, si ritrovano senza lavoro…  

 

Al di là di quello che questi dati ci potranno dire quando le analisi saranno maggiormente approfondite e più raffinate, al momento, possiamo dire, senza timore di essere smentiti, che quando si pensa una regolarizzazione avendo come stella polare i profitti e non i diritti, i risultati non possono che essere fallimentari, soprattutto sul piano dei diritti e della tutela della vite delle persone.

 


Questo procedimento di regolarizzazione è stata l’ennesima occasione mancata dal nostro paese per riconoscere diritti a chi ne è privo a causa delle storture della legge e per tentare di avere una gestione meno contraddittoria dei fenomeni migratori.

giovedì 28 giugno 2018

Conclusioni della Riunione del Consiglio europeo 28 giugno 2018







di Antonio Ciniero
Cosa prevedono? che effetti avranno?
- Chiusura delle frontiere e rafforzamento delle frontiere esterne. Lo prevedevano già gli accordi di Schengen del 1985. Da allora ad oggi si sono ridotti i flussi? No, con le misure proposte si ridurranno i flussi? Ovviamente no, d’altro canto lo ammette lo stesso documento al punto 1 “i flussi hanno ripreso a crescere di recente sulle rotte del Mediterraneo orientale e occidentale”, come è sempre avvenuto! Chiusura delle frontiere = riorientamento dei flussi, no flessione dei flussi!
- Operazioni di salvataggio in mare. Anche in questo caso nulla di nuovo, si continua con la criminalizzazione delle operazioni di salvataggio iniziata dal precedente governo nell’aprile del 2017; Uomini, Donne e bambini, ridotti, cinicamente, a pedine da sacrificare sullo scacchiere della politica interna e internazionale. Qui un articolo dello scorso anno, quando è iniziata la “guerra” alla solidarietà allora https://migr-azioni.blogspot.com/2017/04/non-volete-le-ong-aprite-le-frontiere.html
- Si ribadisce la volontà di continuare a finanziare il regime dispotico di Erdogan con soldi pubblici versati dai democratici paesi europei.
- Non si mette in discussione il principio di primo ingresso del trattato di Dublino.
- Non si prevede la possibilità di introdurre modalità di ingresso regolari per chi è spinto alla migrazione per motivazioni economiche.
- Si dichiara di voler sostenere e rilanciare gli “aiuti allo sviluppo” dell’Africa, la stessa cosa che si afferma almeno dagli anni ’60 del secolo scorso, aiuti che hanno, tutt’al più, ottenuto solo un obiettivo: l’indebitamento e l’ulteriore impoverimento di un numero sempre maggiore di paesi africani. Negli anni, come i dati Oxfam ci ricordano, la sperequazione della ricchezza globale anziché diminuire è aumentata!
Il problema non è Salvini, la sua azione e i suoi modi solo più rozzi, solleticano un lettorato frustrato, Salvini è solo più esplicitamente razzista! Il problema rimane l’approccio Europeo alle migrazioni. L’Europa si ostina a non voler imparare dagli errori del passato!
Spetterà a tutti noi, a tutti coloro che non vogliono arrendersi a questa inumana violenza, riaffermare il primato dell’umanità e della ragione, sia di fronte al populismo demagogico, che all’atteggiamento ipocrita delle principali potenze europee e dell’UE.

mercoledì 8 febbraio 2017

È caccia all’uomo!



È inquietante leggere questa circolare del Ministero degli Interni datata 26 gennaio. È stata diramata alle questure di Roma, Brindisi, Torino e Caltanissetta con l’ordine di riempire i Cie delle città in questione di “ cittadini sedicenti nigeriani” (questa la dizione della circolare) entro il 18 febbraio. Questa improvvisa stretta - tanto impellente per il mistero dell’interno da chiedere anche di rilasciare anticipatamente altri reclusi se necessario per far posto ai nigeriani – è diretta conseguenza dell’accordo di collaborazione nelle identificazioni con l’ambasciata della Nigeria.  

Questa vergognosa caccia all’uomo, non è che l’ultima delle continue violazioni ai diritti umani che in Italia e in Europa si stanno perpetuando negli ultimi anni ai danni dei migranti. Gli stati stanno cercando in ogni modo di bloccare gli ingressi sul proprio territorio attivando a questo scopo una serie di dispositivi che vanno dagli accordi sottoscritti con il governo di Erdogan all’istituzione degli hotspot, dai muri con il filo spinato alla proliferazione dei campi profughi che nascono nelle zone di confine, da Calais a Idomeni.

lunedì 18 luglio 2016

Quando la povertà diventa strutturale

Antonio Ciniero
pubblicato in sbilinfo

I dati sulla povertà diffusi ieri dall’Istat sono allarmanti:  1 milione e 470 mila famiglie (5,7% di quelle residenti) vivono in condizione di povertà assoluta, per un totale di 4 milioni 102 mila persone (6,8% della popolazione residente) e ben 2 milioni 654 mila famiglie e 7 milioni 815 mila persone vivono in condizione di povertà relativa. 

In Italia ci sono quasi 12 milioni di poveri su 60 milioni di abitanti!

Questi dati sono l’indicatore di una situazione strutturale e non semplicemente congiunturale. La crisi degli ultimi anni ha, al più, aggravato processi di esclusione sociale vecchi almeno di un trentennio. Si tratta di processi che colpiscono in misura sempre più consistente anche chi ha un lavoro: la povertà assoluta interessa il 9,7% delle famiglie in cui il principale percettore di reddito è un operaio.

sabato 18 giugno 2016

Oltre il caporalato, lo sfruttamento


(Giovani lavoratori sulla strada verso il "ghetto" - ph. I. Papa)





pubblicato in sbilinfo

Antonio Ciniero

Dopo lo sciopero del 2011 dei braccianti agricoli alloggiati nel campo di Boncuri (Nardò - Le), in Italia è tornato a riaprirsi un dibattito pubblico sul tema del lavoro in agricoltura, soprattutto di quello stagionale; aspetto sicuramente positivo ma che rischia di avere tra le altre conseguenze quella di ridurre la complessità del tema trattato, selezionando e proponendo alla discussione pubblica solo alcuni aspetti del fenomeno e in questo modo favorendo la diffusione di un’immagine molto parziale della questione: è il caso di quanto sta avvenendo rispetto alla tematizzazione del rapporto intercorrente tra caporalato e sfruttamento lavorativo. Una tematizzazione che rischia di avere ricadute politiche, economiche e sociali non indifferenti.
Dal 2012 ad oggi, molte sono state le inchieste giornalistiche, le analisi socio-economiche, le pubblicazioni che hanno affrontato la questione del lavoro agricolo con un approccio che ha finito per far coincidere, per lo meno nell’immaginario pubblico, il fenomeno del caporalato con quello dello sfruttamento lavorativo in agricoltura. E questo non solo in abito giornalistico, ma anche in parte della pubblicistica specialistica dedicata al tema e, soprattutto, nel dibattito politico ed istituzionale che di fatto negli ultimi anni si è limitato a discutere di interventi - tra l’altro ancora lontani dall’essere approvati - volti al solo contrasto del caporalato.

martedì 7 aprile 2015

Il lavoro negato. Il caso dei rom Xoraxanè di Lecce

Antonio Ciniero





Nella periferia della città di Lecce sorge un campo sosta denominato Masseria Panareo. Vi vivono, oggi, circa cinquanta famiglie rom. Tra le baracche e i prefabbricati di più recente costruzione si possono vedere ancora i mattoni di tufo della costruzione diroccata da cui il luogo ha preso il nome, una masseria abbandonata parecchi decenni fa all’incuria e al passare del tempo, isolata, circondata soltanto da distese di ulivi e separata dai comuni del circondario. Per raggiungere il campo bisogna percorrere per circa sette chilometri la strada che da Lecce conduce al comune di Campi Salentina: è lì che, dal 1998, dopo diverse vicissitudini e una serie di interventi politici ed istituzionali, sono state trasferite le famiglie di questo gruppo rom, alcune delle quali giunte nel Salento a partire dagli anni ’80. Una decisione che ha progressivamente condizionato e aggravato la situazione di esclusione e marginalità sociale di questi cittadini, rendendo evidente come l’istituzione dei campi sosta rappresenti una delle materializzazioni più brutali degli asimmetrici rapporti di potere che storicamente si sono instaurati tra rom e gagè. Un’asimmetria che in Italia, ma non solo, continua ad essere mantenuta anche attraverso l’emanazione di politiche pubbliche.