È inquietante leggere questa circolare del
Ministero degli Interni datata 26 gennaio. È stata diramata alle questure di
Roma, Brindisi, Torino e Caltanissetta con l’ordine di riempire i Cie delle
città in questione di “ cittadini sedicenti nigeriani” (questa la dizione della
circolare) entro il 18 febbraio. Questa improvvisa stretta - tanto impellente
per il mistero dell’interno da chiedere anche di rilasciare anticipatamente
altri reclusi se necessario per far posto ai nigeriani – è diretta conseguenza dell’accordo
di collaborazione nelle identificazioni con l’ambasciata della Nigeria.
Questa vergognosa caccia all’uomo, non è che
l’ultima delle continue violazioni ai diritti umani che in Italia e in Europa
si stanno perpetuando negli ultimi anni ai danni dei migranti. Gli stati stanno
cercando in ogni modo di bloccare gli ingressi sul proprio territorio attivando
a questo scopo una serie di dispositivi che vanno dagli accordi sottoscritti
con il governo di Erdogan all’istituzione degli hotspot, dai muri con il filo spinato alla proliferazione dei campi
profughi che nascono nelle zone di confine, da Calais a Idomeni.
Sono tutti strumenti che se non hanno effetto
alcuno sul piano dell’efficacia (la gente, quando non muore, continua ad
arrivare in Europa e continuerà a farlo), hanno però drammatiche conseguenze
sulla vita di tutti i cittadini, in primis, dei cittadini stranieri che sono
così trasformati in cittadini perennemente ricattabili, privati di dritti ed
esposti all’arbitrio delle decisioni politiche del momento o della volontà
delle questure.
La stretta contro i cittadini Nigeriani non è
casuale, oltre l’accordo sottoscritto con la Nigeria, bisogna ricordare che i
cittadini nigeriani sono stati in Italia la prima comunità per numero di
ingresso nel 2016 (oltre il 21% dei 181 mila arrivati proveniva dalla Nigeria).
In moltissimi casi si tratta di migranti economici, o tali sono definiti dalle
commissioni che esaminano le loro richieste di asilo politico, migranti dunque,
che per il nostro paese, sono da respingere. Che non hanno diritto a restare
nel nostro paese se non come fantasmi, come soggetti facilmente sfruttabili,
proprio perché irregolari e dunque privati di diritti.
Questa circolare emanata del ministero degli
interni, non è che l’ennesimo dispositivo perfettamente in linea con il sistema
di (non) accoglienza italiano. Dal 2011 infatti, l’unico modo per
entrare in Italia per un cittadino straniero è quello di dichiararsi
perseguitato politico ed entrare quindi all’interno di un sistema fatto di hotspot, centri di prima e/o seconda
accoglienza e luoghi informali in cui i cittadini stranieri sono costretti a
svolgere la propria vita per un periodo di tempo più o meno lungo, spesso
passando da uno all’altro di questi luoghi, il più delle volte in balia di
eventi e circostanze di tipo kafkiano.
Il sistema
di accoglienza italiano, oggi, nel complesso, assolve la funzione a cui ieri
assolvevano le quote, i decreti flussi o il contratto di soggiorno: fare dei
cittadini stranieri dei soggetti resi istituzionalmente deboli, perennemente
ricattabili e di conseguenza maggiormente sfruttabili.
Gli effetti
principali di questo sistema, sia sul piano della vita dei soggetti che su
quello socio-economico, sono visibili nei tanti ghetti che puntellano le
traiettorie del lavoro agricolo stagionale in Italia. Luoghi abbietti, abitati
sempre di più da cittadini transitati dal sistema di accoglienza italiano o,
addirittura, da chi è ancora inserito all’interno del sistema di accoglienza.
Si tratta di masse di lavoratori assoggettati a pratiche di sfruttamento
feroce.
Le politiche
di chiusura delle frontiere, la restrizione dei canali d’ingresso regolare, la
precarizzazione della condizione giuridica degli stranieri e il mancato
riconoscimento dei diritti di cittadinanza nel nostro paese, ma la situazione
non è molto diversa negli altri paesi europei, fanno sì che si instauri una
dialettica tra stato e mercato, in cui i processi che costringono
all’irregolarità e all’esclusione, consegnano agli agenti economici un utile
strumento di svalorizzazione della forza lavoro: una situazione utilissima a
chi domanda lavoro, perché mette a disposizione una manodopera priva di diritti
da sottoremunerare ed utilizzare per incrementare i profitti.
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