di Antonio Ciniero
I primi
cittadini stranieri non comunitari arrivano nel Salento attorno agli anni ‘80. Provengono
dal Marocco, dal Senegal, dallo Sri Lanka e dalle Filippine. Migrazioni di
ripiego, conseguenza delle politiche di stop attuate dai Paesi che erano mete
tradizionali dei migranti (Francia, Regno Unito, Germania, Belgio, Svizzera,
Olanda) e che fecero pensare a un fenomeno temporaneo, ma, come nel resto del
paese, la previsione fu presto mentita. Fino alla seconda metà degli anni ’90,
la Puglia e il Salento, nello specifico, grazie alla loro posizione geografica,
hanno continuato a essere tra le aree del paese che hanno registrato il maggior
numero di ingressi in Italia, in particolare per i flussi provenienti da est.
Terre di arrivo e transito dei migranti diretti verso altre zone d’Italia e
d’Europa. In Albania, intanto, si consumava l’assalto alle ambasciate, dopo la
caduta dell’ultima cortina di ferro. L’immigrazione albanese (1990-1991) verso
la Puglia è quella che più di altre modifica il panorama migratorio locale, ma
condiziona anche le scelte politiche nazionali. Nel 1992, con la crisi del Corno
d’Africa, arriva la comunità somala ed eritrea. Nel 1998, iniziano a
stabilizzarsi sul territorio di alcune comunità (albanese e marocchina, seguite
da quella srilankese, senegalese e filippina) e comincia una significativa
espansione della comunità cinese, che da allora in poi sarà in costante espansione.
Nel 1999, con la guerra in Kosovo, riprendono gli sbarchi sulle coste salentine
dei profughi in fuga dai bombardamenti: complessivamente transitano in Puglia
più di 150 mila profughi. In generale, è proprio dalla fine degli anni Novanta
che i flussi migratori nel Salento iniziano a stabilizzarsi: aumentano le
coppie miste, i figli dei migranti iscritti nelle scuole, le richieste di
cittadinanza, gli acquisti di abitazioni. A queste presenze “storiche”,
divenute ormai stabili sul territorio, hanno continuato ad aggiungersi ogni
anno nuovi arrivati. Nel 2002 si assiste a una netta prevalenza delle comunità
dell’Europa dell’Est, incentivata dalla sanatoria che interessa principalmente
cittadine romene, polacche, bulgare, ucraine, russe e moldave impegnate in
attività di cura. Dal 2002 a oggi, sono continuati gli arrivi via mare, non
solo attraverso la rotta albanese (Valona - Otranto), che anzi è diventata
sempre meno seguita, ma anche attraverso la Grecia. Arriva via mare un
considerevole numero di richiedenti asilo provenienti, per lo più, dal Medio
Oriente (Afghanistan, Iran, Siria, Turchia, Iraq), a cui si sono aggiunti, dal
2011, a seguito delle Primavere arabe, prima,
e della cosiddetta Emergenza Nord Africa,
dopo, richiedenti asilo provenienti dal continente africano (Tunisia, Libia,
Eritrea, Sudan, e negli ultimi anni sempre più dalla Nigeria).
Presenze
storiche e nuovi arrivi cambiano il volto della migrazione sul territorio. Nuove
sfide si pongono ai sistemi di welfare locali, spesso incapaci nel dare
risposte efficaci, perché schiacciati sull’anacronistica retorica
dell’emergenza. La migrazione, in Italia e sul territorio locale, è un fenomeno
strutturale: sono oltre 130 le diverse provenienze geografiche presenti in
provincia di Lecce. Abbiamo, come si dice, il mondo in casa. Sono oltre 127 mila
i cittadini stranieri presenti nella sola Puglia, e di questi oltre 26 mila, il
15% hanno meno di venti anni. Ragazze e ragazzi nati e cresciuti qui, italiani
di fatto, ma non riconosciuti come tali. Le vicende legate alla mancata
approvazione della legge sullo Ius Soli danno la tara del ritardo politico e
culturale delle nostre istituzioni. Il Parlamento italiano, in cinque anni di
legislatura, non è stato in grado di approvare una legge che riconoscesse un
semplice dato di fatto: le nostre società sono oramai società policulturali e
pongono istanze di riconoscimento non più eludibili. È questa la sfida delle migrazioni, che sono sempre
state un importante banco di prova per la vita democratica di un paese. Ben
vengano quindi iniziative legate al dialogo interculturale e interreligioso,
capaci di tracciare percorsi di cittadinanza e inclusione che superino la finta
emergenza sulla quale in Italia si tenta di schiacciare il discorso sulle migrazioni,
tra i fenomeni più complessi, ma anche più ricchi di possibilità, della nostra contemporaneità.