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sabato 21 settembre 2024

Insicurezza, discriminazione e deprivazione dei diritti. In Italia va in onda sempre lo stesso copione




di Antonio Ciniero

Ritorna, puntuale come sempre, la discussione sull’allarme sicurezza, anche questa volta la fonte di insicurezza per milioni di italiani non è la precarizzazione della condizione lavorativa, la precarizzazione delle vite dei più giovani, costrette ad essere continuamente rimandate, per dirla con le parole di Luciano Gallino, non è la guerra, l’aggressione alla popolazione palestinese, la fonte di insicurezza  per gli italiani sarebbe rappresentata dalle “borseggiatrici” (declinato quasi sempre, guarda caso, al femminile…). 
Tutti nei dibatti pubblici (politici e massmediatici) sono d’accordo sul fatto che un problema sicurezza esiste, ma nessuno utilizza dati o fonti per avvalorare questa affermazione…, il fenomeno viene presentato come autoevidente, lapalissiano…, bisogna crederci sulla fiducia, perché lo sanno tutti che è così… 

Quando il dibattito pubblico viene declinato in questo modo, quando è concentrato su un inesistente problema sicurezza (come quello dei presunti borseggi) solo due cose sono certe che avverano nel giro di poco tempo: 

1) l’emanazione di interventi che in nome della sicurezza restringeranno i diritti e le libertà per tutti, basti vedere il testo del Ddl 1660 in discussione in parlamento sul tema, che arriva a prevedere la possibilità di rinchiudere in carcere anche bambini di un appena un anno e criminalizza ogni forma di conflitto sociale; 

2) la creazione di un capro espiatorio su cui scaricare odio, rabbia e frustrazione, questo in realtà è un processo già in atto, non sono pochi gli atti di discriminazione che nei casi più gravi sono divenuti vere e proprie aggressioni nei confronti di donne additate come “borseggiatrici”. È almeno da ottobre 2022, che trasmissioni di vario genere, che vanno dall’intrattenimento all’approfondimento giornalistico, dedicano ampio spazio a riproporre in modo allarmistico uno dei temi tipici in cui si esprime l’antiziganismo: il binomio “rom/sicurezza”, dedicando ampi spazi al tema delle “borseggiatrici rom”, come si legge nei titoli in sovraimpressione, giovani ragazze e addirittura bambine descritte come ladre seriali pronte a derubare e a tenere in scacco passeggeri e turisti della metro di Roma o Milano. Corollario del racconto mediatico, il fatto che resterebbero impunite proprio perché rom. Immagini televisive e discorsi online, la cui diffusione è amplificata dalle migliaia di condivisioni sui social-network, contribuiscono così a rinsaldare e diffondere, da un lato, un clima di paura, dall’altro discriminazione, in questo caso sottoforma di antiziganismo.  È un clima pericoloso e da non sottovalutare, una situazione simile a quella a cui stiamo assistendo si è già verificata nel 2008 e portò, addirittura, all’emanazione dello stato di emergenza con tutto quello che ne è conseguito sul piano della mortificazione dei diritti. 

martedì 16 giugno 2020

Razzismo istituzionale, ghetti e sfruttamento Una storia italiana




di Antonio Ciniero

In Italia si muore di razzismo, e purtroppo non è una novità. È successo nuovamente qualche giorno fa, a Borgo Mezzanone (Fg) dove è morto Mohammed Ben Ali.
Borgo Mezzanone, situato a nord della Puglia, è una frazione del Comune di Manfredonia che dista circa 10 km da Foggia. È una borgata rurale, la cui fondazione risale al 1934, durante la bonifica condotta dal regime fascista. Da quasi un ventennio, è una delle tappe obbligate delle traiettorie del lavoro agricolo stagionale in Puglia per i braccianti stranieri. Sul piccolo territorio di questo borgo rurale attualmente vivono tra le 1.500 e le 2.000 persone. La gran parte vive in baraccopoli più o meno contigue al grande CARA che sorge sul territorio in cui il nostro paese ha deciso di organizzare la prima (indegna) accoglienza di chi è costretto alla migrazione dalla ferocia dell’economia e dalle guerre.
A Borgo Mezzanone, la quasi totalità di chi vive nel CARA e nei “ghetti” è costretto, da un meccanismo perverso alla cui esistenza concorre la legislazione italiana in materia di migrazione (assenza di canali regolari di ingresso per chi è alla ricerca di lavoro) e quella europea in materia di asilo (impossibilità per i migranti di raggiungere il paese desiderato in virtù del principio di “primo ingresso”), a forme di sfruttamento lavorativo feroce nel settore agricolo locale che produce un quota consistente del PIL nazionale.
La provincia di Foggia, infatti, ha una grande importanza per la produzione agricola italiana, in particolare per la produzione di pomodoro: il 40% della produzione italiana del pomodoro da trasformazione è concentrato in questa zona, dove sono presenti circa 3.500 aziende che coltivano mediamente una superficie di 26 mila ettari, per una produzione di 22 milioni di quintali e un valore pari a quasi 175.000.000 di euro. L’Italia, secondo produttore al mondo di pomodoro da trasformazione, concentra il 14% della produzione mondiale. Il valore aggiunto sul PIL prodotto dal settore dell’agricoltura italiano è uno dei più alti a livello europeo, è pari al 2,2% mentre la media europea si attesta attorno a 1,5%, e produce un introito complessivo di circa 33 miliardi di euro. Un settore tutt’altro che povero quindi, come spesso viene detto strumentalmente per tentare di giustificare ipocritamente i fenomeni di sfruttamento.
Le dimensioni delle baraccopoli di Borgo Mezzanone variano notevolmente a seconda del periodo dell’anno, raggiungo il picco delle presenze proprio a partire da questo periodo fino a settembre, anche se non pochi sono coloro i quali vi restano anche durante i mesi autunnali e invernali, sia per partecipare alla raccolta di prodotti che giungo a maturazione in quei periodi (olive e alcuni ortaggi), sia perché privi di reali alternative.
La quasi totalità di questi ghetti sono abitati da braccianti uomini, le donne che vi vivono sono sostanzialmente o costrette alla prostituzione nei bordelli improvvisati nelle campagne e spesso gestiti dagli stessi che controllano l’intermediazione della domanda e offerta di lavoro (i cosiddetti caporali), in una condizione non diversa da quella della riduzione in schiavitù, o impiegate in attività di servizio, in particolare nella gestione delle cucine e degli spacci che sorgo nei ghetti. Rappresenta un’eccezione il caso il caso degli insediamenti di braccianti bulgari nella capitanata che il più delle volte vedono la presenza di un numero significativo di donne che lavorano come braccianti.
L’esistenza stessa di questi ghetti, la loro contiguità con i luoghi istituzionali in cui lo Stato italiano organizza il sistema di prima accoglienza, a Borgo Mezzanone c’è solo una malandata rete metallica che separa il CARA dal ghetto denominato “la pista”, è tra le più esplicite manifestazioni del razzismo istituzionale italiano e del non rispetto della normativa in materia di lavoro agricolo stagionale, stando alla quale le spese per l’alloggio dei lavoratori dovrebbero essere a carico delle aziende.
I ghetti sono luoghi che esistono da lungo tempo, che si riempiono anche a causa di provvedimenti istituzionali, come è avvenuto con l’emanazione del cosiddetto decreto “sicurezza” che, abolendo il pds per motivi umanitari, ha creato le condizioni di per rendere irregolari e invisibili un numero consistente di cittadini stranieri presenti sul territorio che, in buona parte, sono andati a vivere proprio all’interno dei ghetti.
Un numero che continua a crescere perché ad oggi, nonostante i proclami, il decreto “sicurezza” è ancora una legge dello stato italiano che offende la dignità e oltraggia la stessa vita umana. In molti di coloro i quali sono in questa situazione non potranno regolarizzare la propria posizione giuridica e aspirare a vivere una vita migliore perché il provvedimento da poco varato che avrebbe dovuto permettere ciò è pessimo, un provvedimento non pensato per i diritti delle persone ma per garantire i profitti.
I ghetti agricoli sono luoghi di sospensione dei diritti, diventano visibili alle istituzioni solo quando, con approccio demagogico, ne propongono lo sgombro, senza offrire quasi mai un’alternativa a chi vi abita, o quando avviene un “incidente”, quando divampa un incendio e purtroppo qualcuno perde la vita, come accaduto a Borgo Mezzanone lo scorso 12 giugno a Mohammed Ben Ali, di appena 37 anni. O come era accaduto il 4 febbraio 2020, sempre a Borgo Mezzanone, dove è morta una donna di circa 30 anni, o il 26 aprile 2019, quando è morto Samara Saho che aveva circa 26 anni, o il 6 novembre 2018, quando è morto Bakary Secka, la sua data di nascita non era conosciuta, ma aveva sicuramente meno di 30 anni, o, ancora, il 9 dicembre 2016, quando è morto Ivan Miecoganuchev che aveva 20 anni.
Le cronache dei giornali, nella quasi totalità dei casi, ci hanno detto che Mohammed Ben Ali, Samara Saho, Bakary Secka, Ivan Miecoganuchev, la donna di cui non conosciamo nemmeno il nome, sono morti a causa dei roghi e degli incendi scoppiati. È una parte della verità, l’altra parte, quella di cui non si parla, quella che non trova spazio nelle cronache dei giornali, quella che non si vuole ammettere e che un movimento forte e variegato sta finalmente portando al centro del dibattito pubblico anche nel nostro paese, è che queste persone sono morte a causa del razzismo istituzionale e sociale che attraversa e soffoca il nostro paese.
La violenza razzista in Italia ha oramai una lunga e triste storia, che quasi mai però si è disposti a riconoscere e che anzi si cerca sempre di derubricare ad altro. Una storia che, anche a causa del fatto che non viene riconosciuta ed elaborata, nel corso degli anni si ripete portando con sé una lunga scia di sangue e violazione di diritti.
Violazione di diritti, razzismo, ghetti, sfruttamento, nel nostro paese sono da sempre fortemente intrecciati, lo sono almeno da trent’anni, da quando il 25 agosto del 1989, a Villa Literno, in provincia di Caserta, Jerry Essan Masslo, fu colpito a morte con tre colpi di pistola nel capannone dove dormiva perché si rifiutò di consegnare ad una banda di balordi il denaro che aveva faticosamente messo da parte raccogliendo pomodori per tre lunghi mesi.
Masslo aveva 30 anni quando è morto, era un esule sudafricano, impegnato nella lotta contro il regime di apartheid, scappato in Italia perché nel suo paese rischiava la vita e tuttavia dal nostro paese non era stato riconosciuto come rifugiato politico perché all’epoca l’Italia aderiva alla Convenzione di Ginevra con una riserva geografica. All’assassinio di Maslo seguì la prima grande manifestazione nazionale antirazzista italiana. Il corteo che sfilò per le strade di Roma fu aperto da una delegazione di braccianti stranieri di Villa Literno. Fu quella manifestazione che portò all’approvazione della legge n. 39 del 1990.
Chi oggi scende in piazza al grido di Black Lives Matter, si riconnette con quella storia, ritesse i fili della lotta al razzismo in Italia. Chi oggi scende in piazza al grido Black Lives Matter lo fa per costruire una società più giusta ed equa. Forse è finalmente giunto il momento di iniziare anche in Italia a interrogarci su quanto il razzismo condizioni la nostra società, le nostre istituzioni, le nostre leggi e par farlo non possiamo che partire da quello che è successo in questi ultimi quarant’anni e dall’esperienza chi ha vissuto e vive sulla propria pelle l’esperienza del razzismo e della discriminazione.

sabato 13 giugno 2020

Morire di razzismo in Italia. È successo nuovamente ieri




A Borgo Mezzanone (Fg) attualmente vivono circa 1500 persone. Vivono in baraccopoli più o meno contigue ai luoghi istituzionali (CARA) in cui il nostro paese ha deciso di organizzare la prima (indegna) accoglienza di chi è costretto alla migrazione dalla ferocia dell’economia e dalle guerre.

A Borgo Mezzanone vivono molte delle persone divenute invisibili a causa dell’ignobile decreto sicurezza bis che, nonostante i proclami, è ancora una legge dello stato italiano che offende la dignità e oltraggia la stessa vita umana.

A Borgo Mezzanone, la quasi totalità di chi vive nel CARA e nei “ghetti” è costretto, da un meccanismo perverso alla cui esistenza concorre la legislazione italiana ed europea in materia di migrazione e asilo (leggasi trattato di Dublino e sistema di accoglienza italiano), a forme di sfruttamento lavorativo feroce che produce un quota consistente del nostro PIL nazionale (l’Italia è il secondo produttore al mondo di pomodoro da trasformazione e la provincia di Foggia concentrare quasi l’80% della produzione italiana di pomodoro da trasformazione).  

A Borgo Mezzanone vivono tante persone che non potranno regolarizzare la propria posizione giuridica e aspirare a vivere una vita migliore perché il provvedimento da poco varato che avrebbe dovuto permettere ciò è pessimo, un provvedimento non pensato per i diritti delle persone ma per garantire i profitti.

A Borgo Mezzanone, ieri è morto Mohammed Ben Ali, aveva 37 anni.

A Borgo Mezzanone, il 4 febbraio 2020 è morta una donna di circa 30 anni.

A Borgo Mezzanone, il 26 aprile 2019 è morto Samara Saho, aveva circa 26 anni.

A Borgo Mezzanone, il 6 novembre 2018 è morto Bakary Secka, la sua data di nascita non era conosciuta, ma aveva sicuramente meno di 30 anni.

A Borgo Mezzanone, il 9 dicembre 2016 è morto Ivan Miecoganuchev, aveva 20 anni.

Le cronache dei giornali, nella quasi totalità dei casi, ci hanno detto che Mohammed Ben Ali, Samara Saho, Bakary Secka, Ivan Miecoganuchev, la donna di cui non conosciamo nemmeno il nome, sono morti a causa dei roghi e degli incendi scoppiatiti. È una parte di verità, l’altra parte, quella di cui non si parla, quella che non trova spazio nelle cronache dei giornali, quella che non si vuole ammettere e che un movimento forte e varieggiato sta finalmente portando al centro del dibattito pubblico anche nel nostro paese, è che queste persone sono morte a causa del razzismo istituzionale e sociale che attraversa e soffoca il nostro paese.  

domenica 9 giugno 2019

Recensione a Pasta S., 2018, Razzismi 2.0. Analisi socio-educativa dell'odio online, Scholé-Morcelliana, Brescia


Questa recensione è stata pubblicata anche nel n. 1.2019 di Mondi Migranti 

di Antonio Ciniero



Razzismi 2.0. Analisi socio-educativa dell'odio online di Stefano Pasta, ricercatore presso il Centro di Ricerca sull’Educazione ai media dell’Informazione e alla Tecnologia (CREMIT) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, è un libro che si distingue per l'analisi rigorosa di un tema centrale nella dimensione pubblica e sociale contemporanea, le pratiche e gli atteggiamenti razzisti, che oggi conoscono forme inedite di diffusione tramite l'ambiente digitale, e, fatto abbastanza inconsueto per il panorama degli studi italiani, per l'approccio profondamente interdisciplinare che consente all’autore non solo di analizzare vecchi e odierni razzismi, le loro evoluzioni e trasformazioni nei nuovi contesti offerti dalla rete e dai social, ma anche di proporre percorsi educativi per contrastarne la diffusione e la capacità di far presa soprattutto sui nativi digitali, le cui pratiche di vita sono sempre più il risultato di continue, e non facilmente distinguibili, sovrapposizione tra ambiente di vita reale e ambiente di vita virtuale. È proprio questo approccio, non semplicemente sommativo, in cui convergono differenti prospettive di analisi, da quella sociologica e storica a quella pedagogica, fino alla media education, a permettere all’autore di restituire la complessità del rapporto fra i giovani e i nuovi media, ma anche di indagare in che modo avviene la diffusione dei razzismi e dei discorsi d’odio sulla rete. Un tema questo di fondamentale importanza anche per la stessa vita democratica dei paesi. Tanto l’azione politica, quanto i meccanismi di costruzione del consenso passano, infatti, sempre di più dai nuovi contesti digitali, così come i processi di legittimazione dell’azione politica contemporanea. Si pensi, giusto per fare un esempio tra più lampati, al caso italiano, al modo in cui è stato utilizzato da importanti rappresentanti istituzionali il racconto mediatico della gestione dei processi migratori, soprattutto quello fatto su Facebook tramite lo strumento della diretta, che in alcuni casi addirittura ha sostituito le conferenze stampa come strumento per informare l’opinione pubblica.

domenica 2 dicembre 2018

I primi effetti del decreto (in)sicurezza



di Antonio Ciniero

I primi effetti del decreto (in)sicurezza confermano, purtroppo, quanto in molti stiamo denunciando da settembre, da quando la bozza del decreto ha iniziato a circolare.
Sono già diverse decine le persone, alcuni bambini piccolissimi, costretti a stare per strada perché impossibilitate ad accedere alle strutture di seconda accoglienza (sono di ieri le prime circolari emanate da diverse Prefetture).
Se il Presidente della Repubblica firmerà la legge licenziata dalla camera, la situazione, nel medio e lungo periodo, peggiorerà sempre più. Migliaia di persone saranno costrette all'esclusione e alla marginalità sociale in nome della demagogia e del populismo.

A pagare il prezzo più alto saranno i più deboli, come al solito d'altronde, costretti a vivere sempre più ai margini, lontano dagli occhi dei più, nelle baraccopoli che affollano le periferie dalle nostre città e delle nostre campagne, come quella nella piana di Gioia Tauro dove ieri sera è morta un'altra persona, in quei "ghetti" utili a chi domanda lavoro da sfruttare per incrementare i propri profitti, quelli attarversati della violenza che, in quei luoghi, colpisce soprattutto le donne, le più invisibili tra gli invisibili.
Chi guadagnerà in tutto ciò? Solo sciacalli e criminali:
- i politicanti che proveranno a tradurre in consenso la frustrazione della gente che vede il proprio nemico in chi è affamato e non in chi affama;
- gli enti gestori e il considerevole indotto economico creato da quei luoghi di detenzione amministrativa chiamati centri per il riconoscimento e il rimpatrio in cui le persone saranno recluse fino a 180 giorni senza aver commesso alcun reato per essere poi rilasciate in condizione di irregolarità sul territorio;
- le aziende senza scrupoli che sfrutteranno il lavoro privato di diritti degli uomini e delle donne colpite dagli effetti del decreto (in)sicurezza;
- le organizzazioni criminali che gestiscono la tratta della prostituzione e il traffico di stupefacenti;
- chi potrà acquistare, o meglio riacquistare, i beni sequestrati alle organizzazioni mafiose.

Ognuno di noi deve decidere da che parte stare, sono sicuro che la maggioranza delle persone per bene, di chi crede nell'eguaglianza, nei diritti umani, non starà con le mani in mano.
Noi continueremo a resistere, disubbidiremo e ci organizzeremo per contrastare la barbarie, come già stiamo facendo, e lo faremo sempre meglio.
Touche pas à mon pote, non toccare il mio amico! Non toccate i nostri fratelli, non toccate le nostre sorelle!

sabato 8 settembre 2018

Cosa prevede la bozza del decreto Salvini?




di Antonio Ciniero

Inizia a circolare la bozza del cosiddetto decretoSalvini, se verrà approvato così come è in bozza creerà maggiore irregolarità, esclusione e ricchi affari per carcerieri e chi con i carcerieri collabora in nome del profitto fatto sulla pelle delle persone, basta leggere anche solo i primi 2 articoli per rendersene conto.


Art. I  Abrogazione del pds per motivi umanitari

Il rilascio del pds per motivi umanitari in mancanza dei requisiti per accedere al diritto di asilo è sì una stortura, ma è conseguenza dettata dall’assenza a monte di strumenti che permettano l’ingresso e la libertà di movimento in Italia (e in Europa) per motivi diversi da quelli politici. Dichiararsi perseguitato politico è l’unica possibilità per sperare di accedere ad uno status regolare. Questo giochetto, impedire gli ingressi in condizione di regolarità restringendoli ai soli “migranti politici”, e di conseguenza costringere tutti i soggetti che entrano in Itala ad inserirsi all’interno di un sistema di accoglienza del quale in moltissimi farebbero volentieri a meno, ha creato le storture che da 7 anni, da più parti, si stanno denunciando.

Se si vuole ridurre l’irregolarità non va eliminato il pds per motivi umanitari, semplicemente devono essere previsti modalità di ingresso in condizione di regolarità che diano a tutti la possibilità di spostarsi liberamente in Europa, tra l’altro in questo modo si farebbe anche venire fuori l’ipocrisia dell’UE sul tema delle migrazioni e della libertà di movimento dei migranti senza sequestrare delle persone su una nave per gironi dopo che sono state tratte in salvo dal mare e dopo aver subito violenze inumane nei lager libici.

Se verrà abrogato il pds per motivi umanitari aumenterà solo il numero degli irregolari, i quali, tra l’altro, non potranno essere espulsi, come pensa chi applaude ai provvedimenti propagandistici di questo governo, e siccome non potranno essere espulsi cosa pensa di fare il governo? Basta leggere l’art. 2 del decreto per trovare la risposta.


Art. 2 Prolungamento della durata del tempo di trattenimento nei centri di permanenza per il rimpatrio

Il trattenimento all’interno di questi centri di detenzione amministrativa, dove, è bene ribadirlo, si viene privati della libertà senza che si sia commesso un reato o che si sia pronunciato un giudice, verrà prolungato da 90 a 190 giorni.
Un cittadino straniero che non ha commesso alcun reato potrà quindi essere privato della libertà per oltre sei mesi! Naturalmente il trattenimento in questi centri ha un costo, per altro elevatissimo, che paghiamo con le nostre tasse e che incrementerà i profitti, il business dei gestori di questi centri (che sono quasi sempre gestititi da privato “sociale” anche se fatico a capire cosa abbia di sociale la privazione di libertà di chi non ha commesso alcun reato…) e delle imprese che con questi gestori collaborano.

martedì 3 luglio 2018

L'unico effetto della politica dei porti chiusi è l'aumento dei morti in mare







di Antonio Ciniero


Questi sono i dati relativi agli arrivi dei migranti giunti via mare in Europa appena pubblicati dall’Unhcr.

Si vedano i dati sugli arrivi e i morti/dispersi dal 2014 al 2017. 

Come è possibile vedere, il numero dei morti (si tenga presente che è stimato per difetto), tranne per il picco del 2016, è pressoché costante nonostante vari il numero complessivo degli arrivi. 
La spiegazione è semplice e drammatica allo stesso tempo. Si muore soprattutto sulla rotta che dalla Libia porta in Italia, quella è la rotta più pericolosa. Lo si sa da anni! È lungo quella rotta che oggi si tenta di impedire le operazioni di salvataggio!

I dati relativi al 2015 sono particolarmente chiarificatori: quell’anno in Europa, a seguito della crisi siriana, arrivano oltre un milione di persone. La gran parte, oltre 845 mila persone, segue la rotta balcanica - quella che verrà chiusa finanziando il regime di Erdogan l’anno successivo – ed entrano in Europa attraverso la Grecia, su questa rotta muoiono 806 persone. Attraverso l’Italia via Libia invece giungono in Europa solo 153 mila persone ma ne muoiono oltre 2900!
Con la criminalizzazione delle operazioni di salvataggio, iniziata dal precedente governo ed esasperata da questo attuale, i morti purtroppo aumenteranno. Quest’anno sono già morte oltre mille persone!
Chi ci governa non può continuare a far finta di non saperlo, i tanti che continuano a gioire per i porti chiusi, se ancora non sono cosci, sappiano che stanno gioendo di una strage che continuerà a mietere vittime quanto più continuerà questa assurda guerra alle operazioni di salvataggio in mare!

Chi ipocritamente ripete che la chiusura dei porti serve a scoraggiare le partenze, si ricordi che, se anche così fosse, la gente che non parte continuerà ad essere torturata all’interno dei centri per migranti in Libia! Anche questa cosa la sappiamo da anni, checché ne dica il ministro degli interni!
Porti aperti, e vie di ingresso regolari e sicure subito! Non c’è altra alternativa nell’immediato!

venerdì 15 giugno 2018

Nessun cambiamento, come era prevedibile: si peggiora solo il peggiorabile






di Antonio Ciniero


Le iniziative messe in campo dal neo ministro degli Interni, nonostante il tentativo di presentarle come nuove, si pongono in perfetta continuità con gli interventi in materia di politica migratoria e di governance dei flussi attuati dall’Italia e dall’UE da almeno un trentennio. La vicenda della nave Aquarius mostra senza filtri il cinismo e l’aspetto inumano della gestione delle migrazioni anche al grande pubblico, ma non rappresenta un ribaltamento dell’approccio italiano alla gestione dei flussi migratori degli ultimi anni.

Dall’adozione degli accordi di Schengen in poi, la chiusura delle frontiere e la selezione degli ingressi è stata, e continua ad essere, la bussola di tutti gli interventi normativi in materia migratoria del nostro paese, come lo è delle legislazioni nazionali di quasi tutti i paesi europei e dell’Ue nel suo complesso.

Nel nostro paese però, più che altrove, i vari tentativi di ridurre il numero degli ingressi irregolari non solo sono sistematicamente falliti, ma hanno generato un paradosso (solo apparente): quanto più le leggi diventavano repressive e restrittive, quanto più erano orientate a ridurre la clandestinità, tanto più l’irregolarità di soggiorno cresceva (sia l’irregolarità di ingresso, che la cosiddetta irregolarità sopraggiunta).[1] I sedici anni di applicazione della cosiddetta legge Bossi-Fini lo hanno mostrato chiaramente. Ovviamente non è casuale, e l’irregolarità in Italia è aumentata più che altrove perché il nostro paese non ha, a differenza di altri paesi europei, dei meccanismi di regolarizzazione permanenti, ma ha avuto solo sporadiche sanatorie una tantum.
Le politiche di chiusura delle frontiere, la restrizione dei canali d’ingresso regolare, la precarizzazione della condizione giuridica degli stranieri e il mancato riconoscimento dei diritti di cittadinanza hanno fatto sì che si instaurasse una dialettica tra stato e mercato, in cui i processi che costringono i migranti all’irregolarità e all’esclusione consegnano agli agenti economici un utile strumento di svalorizzazione della forza lavoro: una situazione utilissima a chi domanda lavoro, perché mette a disposizione una manodopera priva di diritti da sottoremunerare ed utilizzare per incrementare i profitti.


sabato 19 maggio 2018

A proposito del contratto Movimento 5 Stelle - Lega

di Antonio Ciniero


Lo so, è un po’ come sparare sulla croce rossa, ma qualcosa, forse, può essere utile dirla a proposito del “contratto” Lega – Movimento 5 Stelle. Provo a farlo prendendo in considerazione solo uno dei temi del “contratto”, quello trattato al punto 13 “IMMIGRAZIONE: RIMPATRI E STOP AL BUSINESS”.

Evidentemente un tema centrate per i due movimenti populisti e xenofobi, tanto per quello che ha significato in termini di raccolta voti e consenso popolare, quanto per lo spazio che al tema è dedicato nel contratto. All’immigrazione sono dedicate tre pagine, per capirci, i due movimenti hanno voluto dare più spazio all’immigrazione che al tema del reddito di cittadinanza o del lavoro o, ancora, del fisco… temi che pure avevano avuto una loro centralità durante la campagna elettorale.

Veniamo al dunque. In generale, il punto dedicato all’immigrazione, esplicita, qualora ce ne fosse ancora bisogno, la natura razzista e populista dei due movimenti e ne rende ufficialmente palese la collocazione nella destra estrema del panorama politico.

L’analisi che traspare dal punto in questione è perentoria, il sistema di accoglienza italiano è fallimentare! E su questo difficilmente si può dissentire, peccato però, che questo sistema di accoglienza non sia frutto del caso, non è nato da una strana alchimia naturale, ma è stato pensato e implementato proprio quando a guidare il dicastero del Viminale c’era il “papà” politico di uno dei due contraenti, Roberto Maroni. E peccato ancora che la legge che oggi il nostro paese utilizza per normare le l’ingresso e le presenze dei cittadini stranieri porta ancora il nome dal “padre dei padri” di uno dei due contraenti.