Questa recensione è stata pubblicata anche nel n. 1.2019 di Mondi Migranti
di Antonio Ciniero
Razzismi 2.0. Analisi
socio-educativa dell'odio online di Stefano Pasta, ricercatore presso il
Centro di Ricerca sull’Educazione ai media dell’Informazione e alla Tecnologia
(CREMIT) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, è un libro che si
distingue per l'analisi rigorosa di un tema centrale nella dimensione pubblica
e sociale contemporanea, le pratiche e gli atteggiamenti razzisti, che oggi
conoscono forme inedite di diffusione tramite l'ambiente digitale, e, fatto
abbastanza inconsueto per il panorama degli studi italiani, per l'approccio
profondamente interdisciplinare che consente all’autore non solo di analizzare
vecchi e odierni razzismi, le loro evoluzioni e trasformazioni nei nuovi
contesti offerti dalla rete e dai social, ma anche di proporre percorsi
educativi per contrastarne la diffusione e la capacità di far presa soprattutto
sui nativi digitali, le cui pratiche
di vita sono sempre più il risultato di continue, e non facilmente
distinguibili, sovrapposizione tra ambiente di vita reale e ambiente di vita
virtuale. È proprio questo approccio, non semplicemente sommativo, in cui
convergono differenti prospettive di analisi, da quella sociologica e storica a
quella pedagogica, fino alla media education, a permettere all’autore di
restituire la complessità del rapporto fra i giovani e i nuovi media, ma anche
di indagare in che modo avviene la diffusione dei razzismi e dei discorsi
d’odio sulla rete. Un tema questo di fondamentale importanza anche per la
stessa vita democratica dei paesi. Tanto l’azione politica, quanto i meccanismi
di costruzione del consenso passano, infatti, sempre di più dai nuovi contesti
digitali, così come i processi di legittimazione dell’azione politica
contemporanea. Si pensi, giusto per fare un esempio
tra più lampati, al caso italiano, al modo in cui è stato utilizzato da
importanti rappresentanti istituzionali il racconto mediatico della gestione
dei processi migratori, soprattutto quello fatto su Facebook tramite lo
strumento della diretta, che in alcuni casi addirittura ha sostituito le
conferenze stampa come strumento per informare l’opinione pubblica.
Un'analisi,
quella di Pasta, che non si limita a indagare le diverse forme del razzismo, a
offrirne letture e interpretazioni, ripercorrendo in modo accurato la
letteratura in materia, ma che punta anche a riflettere su quali siano oggi le
ricadute in termini sociali di queste diverse forme di razzismo, in particolare
quando le performance razziste hanno luogo in contesti sempre meno controllati
dall’azione dei vecchi media e sempre più sottoposti al condizionamento
dell’azione, per molti aspetti inedita, dei nuovi media digitali, in particolare
dei social, dove la separazione tra razzismi espliciti e latenti non è mai
netta e chiaramente identificabile.
Pasta mostra quanto i
razzismi siano divenuti ormai chiavi interpretative della complessità della
realtà sociale contemporanea. I razzismi si nutrono di pedagogie popolari: saperi condivisi, dati per scontati, ovvi,
frutto cioè di un processo di costruzione sociale che non è neutro e benché
meno naturale, ma il risultato di relazioni asimmetriche di potere che danno
vita ad una definizione della situazione condivisa dai più. Un ovvio che
ha sdoganato e rotto tabù fino a pochi anni fa impensabili, che legittima la
possibilità di proclamarsi razzisti, un ovvio che oramai arriva a legittimare e
rivendicare politicamente azioni e performance
razziste.
È quest’ovvio, queste
nuove pedagogie popolari, che il
libro di Pasta mette in discussione, fornendo strumenti per farlo, sia sul
piano dell’analisi, che su quello dell’azione, degli interventi educativi.
Un altro punto di
interesse del libro, che rafforza la ricerca dell'autore sul piano teorico, è
la presenza di dati avvalorati da un'indagine empirica, condotta sui nuovi
media, in cui vengono analizzate e classificate - con un approccio mutuato
dalla Grounded Theory - le pratiche
razziste, i discorsi d’odio e le modalità con cui i nativi digitali divenuti “spettattori”
interagiscono nell’arena virtuale pubblica.
L'analisi di Pasta ci
ricorda che se è vero che i nuovi media accorciano le distanze, creano inediti
spazi interelazionali, è altrettanto vero però che la vicinanza non diviene
necessariamente condivisione e il contatto non si trasforma automaticamente in
conoscenza. Al contrario, nello spazio dei social modellato dagli algoritmi che
offrono solo selezionate porzioni di realtà virtuale, l’utente si ritrova
sempre più spesso a essere circondato dall’eco assordante delle proprie
convinzioni. Sono le cosiddette bolle sociali virtuali in cui il proprio punto
di vista difficilmente si apre ad altri punti di vista. Una realtà che, però,
non è immutabile. Negli ultimi due capitoli l’autore mostra quali possono
essere gli strumenti per contrastare in rete i discorsi d’odio che accompagnano
le pratiche e sottendono la diffusione delle diverse forme di razzismo. Sono
indicati gli strumenti normativi e istituzionali per contrastare il fenomeno,
ma il focus dell’analisi è incentrato soprattutto sul ruolo dell’educatore,
sulla possibilità di pensare a interventi pedagogici capaci di recuperare tutta
la propria dimensione morale, quella che possa permettere al bene di trionfare, come afferma uno
degli adolescenti incontrati dall’autore durante la sua ricerca.
Una proposta educativa
dunque che, come ci ricorda l'autore, non può non includere una implicazione
morale, distinguere ciò che è bene da ciò che è male, una proposta educativa
orientata ad una comunicazione innovativa e generativa che favorisca pratiche
di riflessività in chi si rende
partecipe o protagonista di discorsi d’odio a sfondo razzista, che
problematizzi e metta in discussione ciò che è stato costruito come senso comune che legittima le nuove
forme dei razzismi ed esclude chi, per un motivo o per un altro, in un dato
momento storico, incarna una diversità stigmatizzata
e connotata negativamente.
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