Gli ebrei di Saint Martin Vesubie (photo Puntosanremo) |
di ILARIA PAPA
Racconta
Liliana Segre, nel suo libro
"Sopravvissuta ad Auschwitz" (2005), un fatto che
cambiò il corso della sua vita: quando, bambina, il 7 dicembre
del 1943, tenendo per mano suo padre, passò il confine
italo-svizzero attraverso un buco della rete di recinzione. La
gioia di trovarsi sul suolo svizzero – una terra neutrale che
avrebbe potuto offrire salvezza a quel piccolo gruppo che, come altri
gruppi di ebrei, antifascisti, renitenti alla leva, cercava scampo in
quel periodo tra i sentieri di montagna – fu presto interrotta
dalle guardie di confine svizzere. Scrive Liliana:
Infatti,
al comando di polizia, dopo una lunga attesa – senza dirci una
parola, senza darci un bicchiere d'acqua né un pezzo di pane –
l'ufficiale di turno ci condannò a morte. Ci trattò con disprezzo
estremo, disse che eravamo degli imbroglioni, che la Svizzera era
piccola e non c'era posto per noi. Ci rimandava indietro.
Delle
quattro persone che costituivano quel gruppetto - Liliana, di tredici
anni, suo padre e due cugini, finiti in campo di concentramento
nazista per essere stati "rimandati indietro" da quel
comandante rimasto senza nome e poi arrestati dai finanzieri italiani -
solo Liliana sopravvisse. Io non morii, solo per caso,
scrive.
Guardando
ad altre storie, ci si rende conto di quanto le vie scelte/percorse
nei momenti di pericolo da chi fugge, come pure
i singoli avvenimenti e incontri su quelle vie (con passeurs,
militari, politici, medici, funzionari, persone comuni), possano
fare la differenza fra la vita e la morte in certe
circostanze. Migliaia di persone,
a quel tempo, furono tradite, denunciate, abbandonate.
Altre ebbero un destino differente e si salvarono, superando inosservate
lo stesso confine: tra gli ebrei, circa 6000 riuscirono a
passare. Solo per quanto riguarda la Svizzera, tra la seconda guerra
mondiale al 1943, trovarono rifugio circa 40000 italiani in fuga dal
fascismo, tra cui non pochi intellettuali che contribuirono alla
rinascita dell'Italia nel dopoguerra. Tra essi, Ignazio Silone
(finito anche in carcere per attività antifascista e per aver
violato la neutralità svizzera), Giansiro Ferrata (che da lì
progettava libri da pubblicare una volta finita la guerra, tra cui le
prime traduzioni italiane di Hemingway), Franco Fortini, Dante
Isella, Alberto Mondadori, Diego Valeri, Giorgio Strehler, Luigi
Einaudi, Gianfranco Contini, Ernesto Rossi.
Quanto
a Liliana Segre, oggi senatrice a vita, è stata anche testimone,
come coloro che trovarono una diversa accoglienza in quello stesso
Paese che l'aveva respinta, della storia che cambiava: Auschiwtz
abbandonata dai nazisti, e poi l'Europa liberata.
La
stessa Europa oggi, ottant'anni dopo quei fatti,
sembra aver smarrito gran parte del senso più profondo di quelle
storie e di quei percorsi. Da una parte, sembra
voler tenere in mano il filo e il legame con quel passato
doloroso, per non perderlo, perché
non accada mai più.
Si moltiplicano iniziative per la memoria delle persecuzioni naziste
e fasciste - non solo contro gli ebrei, ma anche contro i rom - della
repressione di migliaia di vite umane, solo perché, per qualche
ragione, classificate come diverse
da
un regime politico predatorio.
È, per esempio, encomiabile il progetto dei Nomi della Shoah in cui sono pubblicati i nomi e le foto di 7000 persone, inclusi
bambini, vittime della persecuzione e inghiottite dalla storia.
Riaffiorano quei nomi e diventano per tutti, perché ognuno ha
diritto alla memoria. Dall'altra
parte,
l'Europa sembra voler rimuovere la memoria delle migliaia di migranti
che il mar Mediterraneo, ormai diventato un cimitero, continua a
inghiottire da anni. C'è chi chiede giustizia
anche per questi nuovi desaparecidos,
ricordando che anche loro – uomini, donne, bambini – avevano un
nome, una famiglia, una storia; che sono morti, non a causa di una
fatalità, ma per i corsi e i ricorsi della storia, per
l'indifferenza e il silenzio di molti, come direbbe qualcuno, mentre
cercavano di raggiungere l'Europa per avere una vita degna di essere
vissuta.