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martedì 31 ottobre 2023

Presentazione Dossier Immigrazione 2023 - Puglia

La presentazione pugliese del Dossier Statistico Immigrazione 2023, organizzata dalla CGIL - Puglia, si è svolta a Bari il 26 novembre in contemporanea con tutte le altre regioni italiane


L’introduzione dei lavori è stata curata da Azmi Jarjawi, responsabile del Dipartimento Immigrazione della Cgil pugliese.

I contenuti del Dossier sono stati illustrati da Antonio Ciniero, dell’Università del Salento, nonché componente della redazione regionale del Centro studi e ricerche Idos.

A commentare i dati sono stati Rosa Barone, Assessora al Welfare della Regione Puglia; Ines Pierucci, Assessora alla Cultura del Comune di Bari; Roberto Venneri, Segretario generale della Presidenza della Regione Puglia; Maurizio Moscara del Comitato “Io Accolgo” Puglia; Erminia Rizzi dell’Associazione Studi giuridici sull’Immigrazione Puglia; Sergio Fontana, Presidente di Confindustria Puglia; Leo Palmisano, scrittore e sociologo; Angelo Cassano, referente di Libera Puglia. Concluderà i lavori la segretaria generale della Cgil Puglia, Gigia Bucci.







giovedì 9 marzo 2023

Consiglio dei Ministri a Cutro. Alcune brevi osservazioni

 

di Antonio Ciniero

Queste pare siano le proposte che oggi il consiglio dei ministri vorrebbe approvare. Alcune brevi osservazioni:

1) stretta sugli scafisti, con l’inasprimento delle pene e l’aggravante in caso di naufragio.
L'inasprimento delle pene non produce effetti sulla diminuzione delle partenze, o sulla diminuzione dei naufragi, al massimo può incidere sulla modificazione dell'organizzazione dell'ultimo tratto di viaggio. Per ridurre naufragi, per fare in modo che ci siano partenze e viaggi sicuri, c'è solo una cosa da fare: cambiare le norme, prevedendo ingressi regolari e sicuri.
2) Semplificazione degli ingressi regolari, con la mobilitazione degli uffici diplomatici per l’esame in loco delle richieste.
Per semplificare gli ingressi va innanzitutto abolita la Bossi Fini. Vanno cambiate le modalità di ingresso per lavoro prevedendo almeno un titolo di soggiorno per ricerca del lavoro, continuare ad avere una normativa che prevede il possesso di un contratto di lavoro prima della partenza è del tutto irrazionale, produce solo esclusione e determina ingressi in condizione di irregolarità e/o costringe i migranti a ricorrere alla richiesta (a volte) impropria di protezione. Per chi è in fuga perché costretto, la proposta semplicemente non ha senso, a meno che non si dia la possibilità di presentare richiesta di asilo nelle ambasciate italiane istituendo in ogni ambasciata una commissione per l'esame della richiesta che preveda anche la presenza dell'UNHCR e garantendo la sicurezza dei richiedenti asilo per tutta la durata del procedimento.
3) L’accelerazione sulle espulsioni: ma chi viene rimpatriato non deve rischiare di tornare in zone di guerra.
Il tema delle espulsioni è pura demagogia, basti vedere quante espulsioni vengono effettuate ogni anno, le espulsioni non si possono effettuare perché mancano accordi di riammissione, parlare di espulsione significa solo fare in modo che le persone restino in condizione di irregolarità, prive di diritti e sfruttabili sul mercato del lavoro. Ps: le espulsioni verso zone di guerra sono semplicemente vietate dalla Convenzione di Ginevra... Non sono una gentile concessione di un governo cinico e (post)fascista!
4) L'allargamento del decreto flussi, che potrebbe avere durata triennale, con quote privilegiate ai paesi che collaborano al contrasto dell’immigrazione clandestina.
Andrebbero previsti almeno 300 mila nuovi ingressi l'anno, ma soprattutto si dovrebbe prevedere, come si diceva sopra, modalità di ingresso per ricerca di lavoro, altrimenti i flussi continueranno ad essere costretti all'irregolarità e i decreti flussi torneranno ad essere quello che erano in passato: mini sanatorie mascherate... Sull'ossessione per le espulsioni mi taccio...
La verità, triste e amara, è che nemmeno questa tragedia basterà a far cambiare rotta a più di trent'anni di politiche di esclusione. Le responsabilità di queste politiche ovviamente non sono imputabili solo a questo esecutivo e a questa maggioranza, le responsabilità sono, sebbene in diversa misura, di tutte le maggioranze, politiche e "tecniche", che si sono alternate al governo del paese in questi trent'anni! Ma se trent'anni fa forse poteva funzionare l'alibi che il paese era impreparato... che il fenomeno si conosceva ancora poco... oggi non esistono più nemmeno queste finte giustificazioni!

lunedì 27 febbraio 2023

Stragi in mare e scafisti. Come si crea il mostro da sbattere in prima pagina

 


di Antonio Ciniero

È salito ancora il numero delle vittime dell’ultima tragedia del mare. In questo momento sono oltre 60 le persone morte a causa delle politiche di chiusura delle frontiere. 

La rotta che collega le coste della Turchia con quelle della Calabria non è nuova, in epoca contemporanea è solcata almeno dalla metà degli anni Novanta, quando a percorrerla erano soprattutto profughi curdi in fuga dell’oppressione del governo turco. È proprio lungo quella rotta che, alla fine degli anni Novanta, approdò sulle coste di Riace un gruppo di profughi curdi. Fu l’accoglienza che si attivò per quelle persone che portò alla nascita di quello che poi sarebbe diventato il modello Riace. Ma questa è un’altra storia. 

Il racconto pubblico di questa ennesima tragedia continua a riproporre il solito copione ipocrita che vede questa tragedia come mera conseguenza dell’azione di scafisti senza scrupoli. 

Scafisti, trafficanti di esseri umani, taxi del mare… sono etichette divenute ormai egemoni nel discorso pubblico sulle migrazioni, un vero e proprio frame che condiziona leggi, dichiarazioni di esponenti politici, affermazioni di ministri della repubblica, articoli di giornali e servizi televisivi.  Etichette che semplificano la realtà, introdotte dalla destra, ma fatte subito proprie anche della sinistra, soprattutto quando ha avuto responsabilità di governo. Non possiamo non ricordare che fu proprio un governo di centro sinistra ad iniziare la guerra alle ONG, che nel giro di pochi mesi da angeli del mare divennero collusi con gli scafisti.

Se vogliamo provare quantomeno a non essere ipocriti, se vogliamo provare ad onorare la memoria di queste ulteriori 60 persone, dobbiamo avere il coraggio di dire che quelle morti ci chiamano tutti in causa, perché sono conseguenza diretta del modo in cui i paesi dell’UE e l’Italia hanno deciso di approcciare la governance delle migrazioni nell’ultimo quarantennio. Non possiamo continuare ad accettare l’idea che quelle morti siano solo causa di pericolosi scafisti.

Dobbiamo avere il coraggio di dire che lo scafista sta alle tragedie in mare, come il caporale sta allo sfruttamento. Non ne sono la causa, sono solo uno degli elementi che concorrono al perpetuarsi e l’esacerbarsi dei due fenomeni. 

Così come il sistema del caporalato diviene tanto più pervasivo, quanto più sono ampi i “vuoti istituzionali”, vale a dire, quanto meno sono garantiti dalle istituzioni pubbliche i servizi che, per legge, dovrebbero essere assicurati ai lavoratori. Allo stesso modo, il ricorrere ad organizzazioni che gestiscono canali irregolari di ingresso diviene una scelta obbligata per quanti sono posti nella condizione di non avere la possibilità di intraprendere un viaggio in condizione di regolarità. Sia che si tratti di cosiddetti migranti economici, che provano a cercare altrove quelle opportunità che sono negate in patria, sia, a maggior ragione, per chi è costretto alla fuga da situazioni di guerre, conflitti o disastri ambientali. 

Gli scafisti (come i caporali) sono diventati nel discorso pubblico italiano un facile capro espiatorio, secondo il consolidato meccanismo della costruzione del “mostro” da sbattere in prima pagina, a cui addossare le colpe di fenomeni strutturali che non si vogliono affrontare in maniera adeguata e, al contempo, guadagnare consenso (sociale ed elettorale) sulla vita dei soggetti più deboli, financo sulla vita dei bambini, come è avvenuto ieri nelle acque di Cutro. 

Scafisti e caporali sono figure molto più articolate di quanto non lo siano raffigurati nel discorso mainstreaming. Così come non esiste un solo tipo di caporalato, ma un sistema eterogeneo che va da chi si “limita” a prendere dai lavoratori pochi in euro in cambio del servizio di trasporto, fino a chi riduce, attraverso la violenza, in condizioni paraschiavili i lavoratori, allo stesso modo, gli scafisti non sono una realtà omogenea e monolitica, non ci sono solo criminali a condurre i natanti. In non pochi casi a guidare una delle tante barche cariche si speranza e disperazione può essere un pescatore o, semplicemente, una persona che sa guidare un’imbarcazione. 
Anzi, come è emerso anche da diverse attività di ricerca, può succedere, ad esempio, che le organizzazioni di criminali affidino la guida di un’imbarcazione, il più delle volte malmessa, a uno dei migranti che è in grado di farlo: questo permette al consorzio criminale di non avere problemi nel caso la barca sia intercettata, perché non vengono “presi” i suoi uomini  e a chi conduce la barca permette di viaggiare senza pagare le cifre esorbitanti che le organizzazioni pretendono come “costo del biglietto”. 
Nel corso degli anni di ricerca mi è anche capitato di intervistare un giovane ragazzo che si è ritrovato suo malgrado a fare da scafista, o meglio, da capitano della barca come preferiva definirsi lui. 
Il suo racconto credo possa servire a smontare le retoriche che ammantano i discorsi pubblici sulla governance delle migrazioni, quelle stesse retoriche che provano surrettiziamente ad addossare la causa delle tragedie del mare solo a chi organizza i viaggi lasciando così libera la coscienza di chi, attraverso le leggi, crea le condizioni affinché quelle tragedie si verifichino. 

Il racconto che mi fece quasi dieci anni fa un ragazzo è questo: 

“Quando sono salito sulla barca che dalla Libia mi avrebbe dovuto portare in Italia era la prima volta che vedevo il mare. Nel mio paese il mare non c’è, ero emozionato e spaventato nel vedere questa enorme distesa di acqua…l’ho assaggiata per vedere se fosse veramente salata, e lo era, ricordo di aver sputato subito tutto! Il viaggio in barca è stato duro, è durato più di una settimana. Eravamo una cinquantina, c’erano anche donne e bambini. Ad un certo punto il capitano che guidava la barca si è sentito male e così la barca ha iniziato ad andare alla deriva. Siamo rimasti alla deriva per più di un giorno intero e sulla barca tutti hanno iniziato ad avere paura, iniziavano a mancare anche acqua e cibo e non sapevamo cosa fare. Così ho preso in mano la situazione e ho provato a mettermi al timone. Era la prima volta e quando ho accelerato ho rischiato quasi di far capovolgere la barca, ma poi, piano piano, ho capito come fare, e ho iniziato a guidare la barca. Non sapevo dove stessimo andando, eravamo in mezzo al mare, vedevamo solo acqua, ma ad un certo punto un grande pesce si è avvicinato alla barca, credo fosse un delfino. Non so se sia stato Dio, io credo di sì, ma quel pesce ci ha guidato… è sempre stato al fianco della nostra barca, finché non abbiamo visto terra. Una volta arrivati sulla spiaggia di quel paese, che poi ho scoperto chiamarsi Cassibile, siamo stati aiutati dalle persone che erano sulla spiaggia, io ho guardato l’orizzonte per rivedere e salutare il grande pesce che ci aveva condotto in salvo, ma non c’era più”. 

Questo racconto è uno di quelli che conservo con più emozione nella memoria e a cui penso spesso perché ci aiuta a capire quanto sia pericoloso il continuo tentativo di creazione di mostri. Se quel giorno sulla spiaggia di Cassibile il protagonista di questo racconto fosse stato intercettato dalle forze dell’ordine, anziché dai bagnanti che hanno soccorso lui e i suoi compagni di viaggio, sarebbe probabilmente diventato “un pericoloso scafista” e non l’uomo, divenuto eroe suo malgrado, che ha portato in salvo circa cinquanta persone e che oggi è impegnato nella difesa dei diritti dei più deboli, italiani e stranieri. 
Questo racconto è importante anche perché ci permette di capire che, sebbene sia più semplice vedere un mostro nello scafista, nel criminale, la verità è che le leggi democratiche degli Stati e la propaganda che le hanno accompagnate sono riuscite nell’intento di creare creato un mostro apparentemente invisibile che continua a nutrirsi della vita di innocenti e che su quelle vite impunemente costruisce potere politico, inventando inesistenti invasioni per guadagnare consenso elettorale. Tutto ciò non è mai stato accettabile, tutto ciò non può continuare ad essere accettato.
 
Se gli Stati vogliono fermare l’eccidio che continua da quarant’anni nel Mediterraneo, hanno tutti gli strumenti per farlo: basta cambiare le leggi, renderle ragionevoli, prevedendo i meccanismi di ingresso regolari che, ad oggi, ancora mancano e, soprattutto, rispettose della vita umana.  


venerdì 25 novembre 2022

Le contraddizioni sono strutturali

 



Quando si confonde il marketing con la politica i risultati non possono che essere quelli a cui stiamo assistendo. Quando immagini, slogan, comunicati, dichiarazioni, post, video, articoli, racchiusi dentro narrazioni mediatiche parziali e di parte, prendono il sopravvento sulla realtà, sulla conoscenza reale di quella realtà, quando la costruzione della figura di un leader conta più, mediaticamente, dei percorsi collettivi e di gruppo, sui processi di riflessione, sullo stare sul campo e sull’impegno (silenzioso), sulle lotte concrete che tanti lavoratori e lavoratrici (italiani e non) portano avanti con fatica, succede che nel fango dei commenti violenti e ironici non finiscano solo certe foto patinate diffuse  e commentate sui social e sui media. Chi ci guadagna in tutto ciò? Al momento, indubbiamente, le destre al governo, che possono lavorare ad una pessima manovra senza che se ne parli, dando in pasto all’opinione pubblica l’ennesimo scandalo, che si poteva prevedere! Se solo certa sinistra fosse stata in quei luoghi dove si costruiscono, appunto, pratiche solidali. 


La campagna mediatica che sta montando ha un obiettivo ben preciso, non mira solo a colpire un singolo, mira, anche e soprattutto, a screditare ogni forma di opposizione, ogni forma di resistenza, ogni forma di critica rigorosa. 

A breve, dal caso singolo si passerà a colpire (politicamente e mediaticamente) l’insieme delle lotte e delle forme di solidarietà. È una cosa che abbiamo già visto in tempi recenti. 
Il sistema di accoglienza nel suo insieme sarà, molto probabilmente, il prossimo bersaglio. 
A ciò, da sinistra, o si risponde mettendo insieme le lotte per superare l’attuale gestione dell’accoglienza che produce strutturalmente contraddizioni o, tra qualche anno, rivivremo nuovamente questo déjà-vu.

Forse scriverò una cosa impopolare, ma è così: tutto l’attuale sistema di accoglienza italiano è pieno di contraddizioni. Non sorprende, visto che si tratta di un sistema pensato nel 2011, quando era ministro dell’Interno Maroni (Lega Nord) e consolidatosi, prima durante la cosiddetta “Emergenza nord Africa”, poi,  dal 2015, con la cosiddetta crisi dei rifugiati. È un sistema che crea contraddizioni, perché contradditorio è l’approccio europeo e italiano alle migrazioni, un approccio in continua tensione tra esclusione ed inclusione, nella gran parte dei casi subalterna.

venerdì 6 maggio 2022

II Sessione - Dal lato oscuro del confine. Mobilità e diritti alle frontiere d'Europa


 


Campi informali e pratiche di autorganizzazione

Chair: Ivan PUPOLIZIO (Università degli Studi di Bari "Aldo Moro") Interventi di: Elena FONTANARI (Università degli Studi di Milano) Antonio CINIERO (Università del Salento) Irene PEANO (Universidade de Lisboa) Giuliana SANÒ (Università degli Studi di Messina) Francesco MARCHINI (University of South Wales)


martedì 16 giugno 2020

Razzismo istituzionale, ghetti e sfruttamento Una storia italiana




di Antonio Ciniero

In Italia si muore di razzismo, e purtroppo non è una novità. È successo nuovamente qualche giorno fa, a Borgo Mezzanone (Fg) dove è morto Mohammed Ben Ali.
Borgo Mezzanone, situato a nord della Puglia, è una frazione del Comune di Manfredonia che dista circa 10 km da Foggia. È una borgata rurale, la cui fondazione risale al 1934, durante la bonifica condotta dal regime fascista. Da quasi un ventennio, è una delle tappe obbligate delle traiettorie del lavoro agricolo stagionale in Puglia per i braccianti stranieri. Sul piccolo territorio di questo borgo rurale attualmente vivono tra le 1.500 e le 2.000 persone. La gran parte vive in baraccopoli più o meno contigue al grande CARA che sorge sul territorio in cui il nostro paese ha deciso di organizzare la prima (indegna) accoglienza di chi è costretto alla migrazione dalla ferocia dell’economia e dalle guerre.
A Borgo Mezzanone, la quasi totalità di chi vive nel CARA e nei “ghetti” è costretto, da un meccanismo perverso alla cui esistenza concorre la legislazione italiana in materia di migrazione (assenza di canali regolari di ingresso per chi è alla ricerca di lavoro) e quella europea in materia di asilo (impossibilità per i migranti di raggiungere il paese desiderato in virtù del principio di “primo ingresso”), a forme di sfruttamento lavorativo feroce nel settore agricolo locale che produce un quota consistente del PIL nazionale.
La provincia di Foggia, infatti, ha una grande importanza per la produzione agricola italiana, in particolare per la produzione di pomodoro: il 40% della produzione italiana del pomodoro da trasformazione è concentrato in questa zona, dove sono presenti circa 3.500 aziende che coltivano mediamente una superficie di 26 mila ettari, per una produzione di 22 milioni di quintali e un valore pari a quasi 175.000.000 di euro. L’Italia, secondo produttore al mondo di pomodoro da trasformazione, concentra il 14% della produzione mondiale. Il valore aggiunto sul PIL prodotto dal settore dell’agricoltura italiano è uno dei più alti a livello europeo, è pari al 2,2% mentre la media europea si attesta attorno a 1,5%, e produce un introito complessivo di circa 33 miliardi di euro. Un settore tutt’altro che povero quindi, come spesso viene detto strumentalmente per tentare di giustificare ipocritamente i fenomeni di sfruttamento.
Le dimensioni delle baraccopoli di Borgo Mezzanone variano notevolmente a seconda del periodo dell’anno, raggiungo il picco delle presenze proprio a partire da questo periodo fino a settembre, anche se non pochi sono coloro i quali vi restano anche durante i mesi autunnali e invernali, sia per partecipare alla raccolta di prodotti che giungo a maturazione in quei periodi (olive e alcuni ortaggi), sia perché privi di reali alternative.
La quasi totalità di questi ghetti sono abitati da braccianti uomini, le donne che vi vivono sono sostanzialmente o costrette alla prostituzione nei bordelli improvvisati nelle campagne e spesso gestiti dagli stessi che controllano l’intermediazione della domanda e offerta di lavoro (i cosiddetti caporali), in una condizione non diversa da quella della riduzione in schiavitù, o impiegate in attività di servizio, in particolare nella gestione delle cucine e degli spacci che sorgo nei ghetti. Rappresenta un’eccezione il caso il caso degli insediamenti di braccianti bulgari nella capitanata che il più delle volte vedono la presenza di un numero significativo di donne che lavorano come braccianti.
L’esistenza stessa di questi ghetti, la loro contiguità con i luoghi istituzionali in cui lo Stato italiano organizza il sistema di prima accoglienza, a Borgo Mezzanone c’è solo una malandata rete metallica che separa il CARA dal ghetto denominato “la pista”, è tra le più esplicite manifestazioni del razzismo istituzionale italiano e del non rispetto della normativa in materia di lavoro agricolo stagionale, stando alla quale le spese per l’alloggio dei lavoratori dovrebbero essere a carico delle aziende.
I ghetti sono luoghi che esistono da lungo tempo, che si riempiono anche a causa di provvedimenti istituzionali, come è avvenuto con l’emanazione del cosiddetto decreto “sicurezza” che, abolendo il pds per motivi umanitari, ha creato le condizioni di per rendere irregolari e invisibili un numero consistente di cittadini stranieri presenti sul territorio che, in buona parte, sono andati a vivere proprio all’interno dei ghetti.
Un numero che continua a crescere perché ad oggi, nonostante i proclami, il decreto “sicurezza” è ancora una legge dello stato italiano che offende la dignità e oltraggia la stessa vita umana. In molti di coloro i quali sono in questa situazione non potranno regolarizzare la propria posizione giuridica e aspirare a vivere una vita migliore perché il provvedimento da poco varato che avrebbe dovuto permettere ciò è pessimo, un provvedimento non pensato per i diritti delle persone ma per garantire i profitti.
I ghetti agricoli sono luoghi di sospensione dei diritti, diventano visibili alle istituzioni solo quando, con approccio demagogico, ne propongono lo sgombro, senza offrire quasi mai un’alternativa a chi vi abita, o quando avviene un “incidente”, quando divampa un incendio e purtroppo qualcuno perde la vita, come accaduto a Borgo Mezzanone lo scorso 12 giugno a Mohammed Ben Ali, di appena 37 anni. O come era accaduto il 4 febbraio 2020, sempre a Borgo Mezzanone, dove è morta una donna di circa 30 anni, o il 26 aprile 2019, quando è morto Samara Saho che aveva circa 26 anni, o il 6 novembre 2018, quando è morto Bakary Secka, la sua data di nascita non era conosciuta, ma aveva sicuramente meno di 30 anni, o, ancora, il 9 dicembre 2016, quando è morto Ivan Miecoganuchev che aveva 20 anni.
Le cronache dei giornali, nella quasi totalità dei casi, ci hanno detto che Mohammed Ben Ali, Samara Saho, Bakary Secka, Ivan Miecoganuchev, la donna di cui non conosciamo nemmeno il nome, sono morti a causa dei roghi e degli incendi scoppiati. È una parte della verità, l’altra parte, quella di cui non si parla, quella che non trova spazio nelle cronache dei giornali, quella che non si vuole ammettere e che un movimento forte e variegato sta finalmente portando al centro del dibattito pubblico anche nel nostro paese, è che queste persone sono morte a causa del razzismo istituzionale e sociale che attraversa e soffoca il nostro paese.
La violenza razzista in Italia ha oramai una lunga e triste storia, che quasi mai però si è disposti a riconoscere e che anzi si cerca sempre di derubricare ad altro. Una storia che, anche a causa del fatto che non viene riconosciuta ed elaborata, nel corso degli anni si ripete portando con sé una lunga scia di sangue e violazione di diritti.
Violazione di diritti, razzismo, ghetti, sfruttamento, nel nostro paese sono da sempre fortemente intrecciati, lo sono almeno da trent’anni, da quando il 25 agosto del 1989, a Villa Literno, in provincia di Caserta, Jerry Essan Masslo, fu colpito a morte con tre colpi di pistola nel capannone dove dormiva perché si rifiutò di consegnare ad una banda di balordi il denaro che aveva faticosamente messo da parte raccogliendo pomodori per tre lunghi mesi.
Masslo aveva 30 anni quando è morto, era un esule sudafricano, impegnato nella lotta contro il regime di apartheid, scappato in Italia perché nel suo paese rischiava la vita e tuttavia dal nostro paese non era stato riconosciuto come rifugiato politico perché all’epoca l’Italia aderiva alla Convenzione di Ginevra con una riserva geografica. All’assassinio di Maslo seguì la prima grande manifestazione nazionale antirazzista italiana. Il corteo che sfilò per le strade di Roma fu aperto da una delegazione di braccianti stranieri di Villa Literno. Fu quella manifestazione che portò all’approvazione della legge n. 39 del 1990.
Chi oggi scende in piazza al grido di Black Lives Matter, si riconnette con quella storia, ritesse i fili della lotta al razzismo in Italia. Chi oggi scende in piazza al grido Black Lives Matter lo fa per costruire una società più giusta ed equa. Forse è finalmente giunto il momento di iniziare anche in Italia a interrogarci su quanto il razzismo condizioni la nostra società, le nostre istituzioni, le nostre leggi e par farlo non possiamo che partire da quello che è successo in questi ultimi quarant’anni e dall’esperienza chi ha vissuto e vive sulla propria pelle l’esperienza del razzismo e della discriminazione.

lunedì 8 luglio 2019

La “guerra alle migrazioni”



di Antonio Ciniero


Quando, in Europa, è iniziata la “guerra alle migrazioni”?

Non è sicuramente iniziata con Salvini o con Minniti, si può datare l’inizio con il 1985, quando vengono adottati i trattati di Schengen, quelli che istituiscono l’“EuropaFortezza”, uno spazio sempre più aperto alla circolazione delle persone europee e delle merci, ma sempre più impenetrabile, almeno regolarmente, per le persone non europee. È dalla metà degli anni Ottanta che, di fatto, le ambasciate non rilasciano più visti di ingresso per i paesi europei; è da quegli anni che iniziano gli arrivi con i “barconi” in Europa; è da quegli anni che il mediterraneo si insanguina, che si trasforma da “mare che per secoli aveva unito i popoli” a “enorme cimitero a cielo aperto”: sono oltre 30 mila i morti nel mediterraneo dagli anni Ottanta ad oggi, più della metà dei quali sono morti negli ultimi 4 anni!

Perché in Europa, a partire dagli anni Ottanta, le migrazioni vengono sempre più connotate negativamente?

martedì 26 febbraio 2019

Arrivi/morti in Europa (gennaio – febbraio 2018/2019). Un tragico confronto


di Antonio Ciniero

Confrontando i dati sugli arrivi/decessi in Europa di quest’anno con quelli dello stesso periodo dell’anno scorso emerge che, in generale - in linea con quanto era accaduto l’anno scorso rispetto al 2017 - si continua a registrare il calo del numero degli arrivi. Se gli arrivi calano, non diminuisce però la probabilità di morire durante la traversata del Mediterraneo che anzi è aumentata di circa 10 volte. Se la probabilità di morire nel tentativo di raggiungere l’UE è una delle conseguenze della politica delle frontiere chiuse, avviata a livello europeo con l’adozione degli accordi Schengen, l’aumento di tale probabilità è invece una delle conseguenze della guerra dichiarata alle operazioni di salvataggio delle vite in mare. Una guerra avviata a livello europeo, prima, con gli attacchi alle operazioni di salvataggio della Marina Militare Italiana, in particolare all’operazione Mare Nostrum e proseguita poi con la guerra alle Ong,  un vero e proprio attacco alla solidarietà e al diritto/dovere di salvare vite in mare, iniziata dal Ministro Minniti e portata avanti, in piena continuità, dall’attuale inquilino del Viminale.

Nell’info grafica che segue (fonte UNHCR) ci sono i dati per il periodo che va dal 1 gennaio al 24 febbraio 2019
In tutto il Mediterraneo i morti sono stati 207, lungo la rotta del Mediterraneo centrale sono stati 144.


domenica 2 dicembre 2018

I primi effetti del decreto (in)sicurezza



di Antonio Ciniero

I primi effetti del decreto (in)sicurezza confermano, purtroppo, quanto in molti stiamo denunciando da settembre, da quando la bozza del decreto ha iniziato a circolare.
Sono già diverse decine le persone, alcuni bambini piccolissimi, costretti a stare per strada perché impossibilitate ad accedere alle strutture di seconda accoglienza (sono di ieri le prime circolari emanate da diverse Prefetture).
Se il Presidente della Repubblica firmerà la legge licenziata dalla camera, la situazione, nel medio e lungo periodo, peggiorerà sempre più. Migliaia di persone saranno costrette all'esclusione e alla marginalità sociale in nome della demagogia e del populismo.

A pagare il prezzo più alto saranno i più deboli, come al solito d'altronde, costretti a vivere sempre più ai margini, lontano dagli occhi dei più, nelle baraccopoli che affollano le periferie dalle nostre città e delle nostre campagne, come quella nella piana di Gioia Tauro dove ieri sera è morta un'altra persona, in quei "ghetti" utili a chi domanda lavoro da sfruttare per incrementare i propri profitti, quelli attarversati della violenza che, in quei luoghi, colpisce soprattutto le donne, le più invisibili tra gli invisibili.
Chi guadagnerà in tutto ciò? Solo sciacalli e criminali:
- i politicanti che proveranno a tradurre in consenso la frustrazione della gente che vede il proprio nemico in chi è affamato e non in chi affama;
- gli enti gestori e il considerevole indotto economico creato da quei luoghi di detenzione amministrativa chiamati centri per il riconoscimento e il rimpatrio in cui le persone saranno recluse fino a 180 giorni senza aver commesso alcun reato per essere poi rilasciate in condizione di irregolarità sul territorio;
- le aziende senza scrupoli che sfrutteranno il lavoro privato di diritti degli uomini e delle donne colpite dagli effetti del decreto (in)sicurezza;
- le organizzazioni criminali che gestiscono la tratta della prostituzione e il traffico di stupefacenti;
- chi potrà acquistare, o meglio riacquistare, i beni sequestrati alle organizzazioni mafiose.

Ognuno di noi deve decidere da che parte stare, sono sicuro che la maggioranza delle persone per bene, di chi crede nell'eguaglianza, nei diritti umani, non starà con le mani in mano.
Noi continueremo a resistere, disubbidiremo e ci organizzeremo per contrastare la barbarie, come già stiamo facendo, e lo faremo sempre meglio.
Touche pas à mon pote, non toccare il mio amico! Non toccate i nostri fratelli, non toccate le nostre sorelle!

domenica 30 settembre 2018

Sguardi eretici contro il muro della paura



di Antonio Ciniero



Recensione al libro curato da Gennaro Avallone Il sistema di accoglienza in Italia. Esperienze, resistenze, segregazione (Orthotes Editrice, pp. 218, euro 17) già pubblicata ne Il Manifesto

È almeno dal 2011, a seguito della guerra in Libia, che in Italia, e più in generale in Europa, è diventato quasi impossibile per i cittadini stranieri entrare in condizione di regolarità, se non in pochi casi.
DA QUELL’ANNO, l’Ue nel suo complesso e i singoli stati membri, più o meno esplicitamente, hanno cercato in ogni modo di bloccare gli ingressi sul proprio territorio attivando a tal scopo una serie di dispositivi che vanno dagli accordi sottoscritti con il governo di Erdogan in Turchia e di al-Sarraj in Libia all’istituzione degli hotspot, dai muri con il filo spinato alla proliferazione di campi profughi che sono nati nel cuore dell’Europa, come Idomeni fino a qualche tempo fa, o più recentemente Salonicco o Calais, passando per le periferie e le campagne delle città europee. Si tratta di dispositivi che minano il diritto alla mobilità, soprattutto di chi non ha in tasca il passaporto di un paese che conta o soldi «per comprare» un visto.
L’ATTUALE SISTEMA di accoglienza italiano, così pieno di contraddizioni e oggi così criticato da più parti, si è consolidato durante la cosiddetta «emergenza nord Africa», quando era ministro dell’Interno Roberto Maroni della Lega Nord, e ha ricevuto conferme dai successivi governi di centro-sinistra. Si tratta di contraddizioni strutturali, che non riguardano solo i casi eclatanti di mala accoglienza più volte denunciati negli ultimi anni, ma più che altro il sottile, ambiguo, filo di separazione fra dimensione formale e informale, legalità e illegalità, inclusione ed esclusione, che caratterizza i luoghi e i modi di questa accoglienza.

lunedì 30 luglio 2018

Rimediare ai disastri? Alcune cifre svincolate dalla propaganda







di Antonio Ciniero

Ministro, i dati ci dicono che l’unico disastro è rappresentato dalle persone che state condannando a morie e dalle persone che state condannando a immani violenze nei lager libici, ed è un disastro in drammatica continuità con chi l‘ha preceduta!  


Arrivi in Italia 1 gennaio - 31 luglio 2017: 94.448;*
Morti/dispersi1 gennaio - 31 luglio 2017: 1.955, il 2,06% di chi ha tentato di arrivare in Europa via Libia*


Arrivi in Italia periodo 1 gennaio -27 luglio 2018: 18.314;*
Morti/dispersi 1 gennaio -25 luglio 2018: 1.111, il 6,12% di chi ha tentato di arrivare in Europa via Libia*


Le uniche cose che confermano i dati sono:
Ø  L’aumento della pericolosità della rotta Libia-Italia, con conseguente aumento dei morti/dispersi in mare di oltre il 4% rispetto all’anno precedente.
Ø  Diminuzione degli ingressi in Europa via Italia e aumento degli ingressi in Europa via Spagna e Grecia.

La diminuzione degli ingressi in Europa attraverso l’Italia - che sta tanto a cuore all’attuale ministro dell’Interno, come stava a cuore al suo predecessore - si deve a due fattori:

Ø  Gli accordi siglati tra il nostro governo e il governo libico di Fayez al-Sarraj al quale si è deciso di subappaltare il lavoro sporco, fatto di violazione di diritti umani, torture, incarcerazioni abusive e violenze di ogni genere. Facendo finta di non sapere quello che avviene in Libia (come ha fatto Minniti) o addirittura arrivando a negare questo stato di fatto come ha fatto il ministro Salvini durante la sua visita in Libia.  
Ø  L’apertura di nuove rotte, come è sempre avvenuto nella storia delle migrazioni dirette in Europa ogni qual volta che i paesi di destinazione hanno tentato di chiudere le frontiere. È una dinamica nota almeno dal 1973.


Dietro la diminuzione degli sbarchi si consuma un eccidio che pesa come un macigno sui paesi europei e sulla nostra coscienza.

Di fronte a ciò, l’unica possibilità che i paesi europei hanno di rispondere in maniera democratica è quella di prevedere canali di ingresso regolari e di riportare al centro del dibattito politico internazionale il tema del diritto alla mobilità.

Tutti i paesi dell’UE hanno sottoscritto la Convenzione Internazionale dei Diritti dell’Uomo che al primo comma dell’art. 13 prevede che “Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato”, è ora che la rispettino!   


*Fonte dati arrivi in Italia: Cruscotto statistico Ministero dell’Interno; Fonte dati morti/dispersi: mia elaborazione su dati IOM (missingmigrants.iom.in)